Condannato con sentenza definitiva un uomo accusato di continui insulti perpetrati nei confronti della propria moglie

Era stato accusato del reato di maltrattamenti in famiglia (di cui all’art. 572 cod. pen.), per i continui insulti rivolti verso la moglie; in primo grado l’uomo era stato condannato alla pena prevista per legge. Anche in appello fu riconosciuta la sua penale responsabilità per i fatti a lui ascritti.

Nel frattempo, però la donna, vittima dei maltrattamenti rimetteva la querela; cosicché il processo proseguiva dinanzi ai giudici della Cassazione.

L’imputato contestava proprio tale ultima circostanza: la cessazione della condotta contestata era desumibile dal verbale di remissione della querela da parte della persona offesa con la quale questa aveva dichiarato che dopo la presentazione della prima denuncia -querela, il marito era cambiato in meglio ed aveva cessato di insultarla, dedicandosi alla famiglia. Di qui l’avvenuta prescrizione del reato. Invero, la Corte territoriale aveva ritenuto priva di carica dimostrativa la remissione della querela.

Il giudizio della Cassazione

Preliminarmente i giudici della Suprema Corte ritengono ineccepibile l’asserita carenza di valenza dimostrativa della remissione della querela, rappresentando essa al più un tentativo della vittima di rappacificare il clima familiare senza per questo modificare la condizione di debolezza e soggezione psichica rispetto all’autore delle condotte vessatorie, risultando inoltre che – dopo la remissione – il ricorrente aveva ripreso le medesime condotte.

Per tali ragioni, ritengono inammissibile il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il reato di maltrattamenti in famiglia

Chiunque, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.

Si tratta di un reato procedibile a querela della persona offesa, la quale può essere rimessa. Si ricorda, peraltro, che la rimessione della querela ha effetto a patto che il querelato la accetti.

Nella fattispecie in esame, la Cassazione ha ritenuto di non riconoscere alcuna validità estintiva del reato al ritiro della querela della persona offesa, alla luce di quanto emerso nel procedimento.

 

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