Un comunicato stampa della Corte costituzionale ha dichiarato che non è illegittimo vietare l’accesso alle tecniche di procreazione assistita alle coppie omosessuali

Roma, 18 giugno, l’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale con un comunicato intitolato “Coppie Gay: non è illegittimo il divieto di procreazione assistita” ha fatto sapere di essersi riunita in camera di consiglio per discutere le questioni sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano sulla legittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 là dove vieta alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Nello stesso comunicato è stato anche reso noto che al termine della discussione le questioni sono state dichiarate non fondate. La Corte ha ritenuto che le disposizioni censurate non sono in contrasto con i principi costituzionali invocati dai due Tribunali.

Nel corso degli anni la legge n. 40 del 2004 ha subito molteplici modifiche. Attualmente, come è noto, le tecniche di PMA rimangono precluse ai single, alle coppie omosessuali, alle cosiddette “mamme-nonne” (la legge non specifica un’età limite, ma i paletti del divieto sono fissati in corrispondenza di menopausa e andropausa). È vietata anche la cosiddetta fecondazione post mortem, cioè l’utilizzo degli spermatozoi di un marito o compagno deceduto.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Pordenone

Con sentenza dello scorso 2 luglio 2018 il Tribunale di Pordenone ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 l. n. 40/2004 proprio nella parte in cui permettono l’accesso alla PMA solo alle coppie di sesso diverso e sanzionano chiunque applichi le tecniche di fecondazione assistita a coppie dello stesso sesso.

Le richiedenti erano entrambe “maggiorenni”, “coniugate o conviventi” (avendo costituito un’unione civile), “in età potenzialmente fertile” ed, “entrambe viventi”.

L’esclusione dall’accesso alle tecniche di PMA delle coppie composte da soggetti dello stesso sesso –si legge nella sentenza di rinvio, nonché la correlata applicazione di sanzioni a chi (struttura sanitaria o esercente la professione sanitaria) tale esclusione non rispetti, contrasta, in primo luogo, con l’art. 2 della Costituzione, in quanto non garantisce il diritto fondamentale alla genitorialità dell’individuo, sia come soggetto singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

Con la legge 20 maggio 2016 n. 76, il cui art. 1, ha espressamente istituito “l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, il legislatore italiano ha superato l’impostazione tradizionale, che individuava la coppia (fondata su matrimonio o su convivenza di fatto) come formata da soli soggetti di sesso diverso, dunque da un uomo e da una donna, e ha di conseguenza reso omogenee le famiglie sia omosessuali che eterosessuali.

La norma censurata, per il Tribunale di Pordenone contrasterebbe anche con l’art. 3 della Costituzione.

Il negare l’accesso alle tecniche di PMA alle coppie composte da soggetti dello stesso sesso, biologicamente compatibili con la pratica in oggetto, e, nel contempo, il sanzionare la struttura ed il sanitario che non adottino tale diniego comporterebbero una disparità di trattamento basata sull’orientamento sessuale e sulle condizioni economiche dei cittadini.

Come pure discriminatoria sarebbe la previsione normativa di cui al combinato disposto degli artt. 5 e 12 della legge n. 40/2004, laddove, vietando in Italia, finanche sanzionandolo, il percorso di PMA alle coppie di cittadini dello stesso sesso, riconosce invece, il diritto alla filiazione alle sole coppie same sex capaci di sostenere i costi per sottoporsi ad un analogo percorso presso uno dei Paesi esteri (anche all’interno dell’Unione Europea) che, viceversa, tale ricorso ammettono.

Inoltre, le restrizioni della legge italiana sulle tecniche di PMA condurrebbero ad una inammissibile interferenza (dettata da sole distinzioni fondate sul sesso) in una scelta personalissima di vita che compete alla coppia familiare.

Senza contare della violazione al diritto alla maternità costituzionalmente garantito (art. 31 comma 2° della Costituzione) e della tutela della salute anche psichica individuale e di coppia che certo verrebbe compromessa laddove si vieti ad alcuno di formare una famiglia con figli assieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo.

Ma, in attesa del deposito della sentenza, il comunicato dell’Ufficio Stampa della Consulta ha tolto ogni dubbio, almeno di costituzionalità: è legittimo vietare l’accesso alle tecniche di procreazione assistita alle coppie omosessuali.

La redazione giuridica

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