La correttezza e la buona fede: detti valori, nella lettura offerta dalla Cassazione, assurgono definitivamente al rango di ulteriori vincoli in assenza dei quali non è possibile la proposizione della causa di merito

Come noto, l’articolo 145 del D. Lgs.vo 209/2005 prevede che – proprio dal momento dell’inoltro di tale lettera – iniziano a decorrere i termini di legge (di 60 o 90 giorni a seconda che si tratti di danni materiali o di danni fisici) all’esito dei quali la domanda giudiziale diventa proponibile.

Nel caso che ci occupa, il danneggiato aveva subito un danno materiale alla propria bicicletta e, dopo aver inoltrato la rituale lettera di intervento ex art. 145 del Nuovo codice delle assicurazioni, e aver altresì atteso il decorso dei sessanta giorni prescritti dalla legge, aveva notificato l’atto di citazione. All’esito del giudizio di merito (primo e secondo grado) si era pervenuti a una sentenza d’appello che aveva dichiarato improponibile la domanda dell’attore sulla base dell’assunto che questi non aveva consentito alla compagnia di prendere visione e di esaminare, tramite un perito accertatore, i danni materiali patiti dal velocipede attoreo.

La parte lesa ha deciso allora di esperire anche il terzo grado ricorrendo al giudizio in Cassazione e affermando che il giudice di merito aveva sbagliato nell’omettere di considerare e valorizzare una circostanza dirimente ai fini del decidere: l’articolo 148 del Nuovo Codice delle assicurazioni, nella versione vigente all’epoca in cui venne inviata la lettera d’intervento nel caso di specie, prescriveva l’obbligo per il danneggiato di mettere a disposizione della compagnia di assicurazione la propria persona (onde consentire l’accertamento dei danni fisici), ma non anche il mezzo ai fini della verifica dei danni materiali patiti. Solo a partire dal 2012, il legislatore aveva introdotto una modifica al testo (attraverso il decreto legge 24 gennaio 2012 nr. 1 poi convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 nr. 27) con il quale aveva esplicitato l’obbligo – per il danneggiato – di permettere gli accertamenti necessari anche alla valutazione del danno materiale.

Quindi, nella logica del ricorrente, proprio perché l’articolo 148, vigente ratione tempore, non prevedeva questo onere, la domanda doveva ritenersi assolutamente proponibile e doveva altresì reputarsi inessenziale e ininfluente il fatto che (come dimostrato in atti) l’attore si fosse in effetti rifiutato di dar corso (o, comunque, non si fosse reso disponibile) all’ispezione del proprio mezzo.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 1829/18), con la sentenza in commento, ha innanzitutto ribadito un concetto di cui dovrebbero fare tesoro tutti gli avvocati cassazionisti: ci riferiamo al fatto che, nei ricorsi per Cassazione, il rimedio previsto dall’articolo 360 del codice di procedura civile al comma 1, nr. 5 (laddove, cioè, si consente di adire la Suprema Corte per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti) deve in realtà considerarsi assolutamente residuale e invocabile solo in casi estremamente rari. Secondo gli Ermellini è passibile e meritevole di denuncia in Cassazione esclusivamente l’anomala motivazione che si tramuta in una violazione di legge costituzionalmente rilevante e questo avviene quando il vizio della motivazione risulti ictu oculi dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con i risultati processuali. L’anomalia deve tradursi, in altri termini, nella mancanza radicale di motivi. Non basta, invece, invece il semplice difetto tradizionalmente noto come “insufficienza della motivazione”.

Un tanto premesso, i giudici di legittimità hanno ritenuto di non rinvenire alcuno dei succitati vizi nel provvedimento sottoposto alla loro attenzione. La vicenda doveva essere analizzata non tanto alla luce di quanto previsto dall’articolo 148, ma piuttosto alla luce di quanto previsto dall’articolo 145 del nuovo Codice delle assicurazioni. La proponibilità della domanda risarcitoria è certamente legata a un presupposto di carattere formale (vale a dire la trasmissione di una richiesta coerente con gli elementi indicati dall’articolo 148 del codice che siano sufficienti a permettere all’assicuratore di accertare la responsabilità, stimare il danno e formulare l’offerta), ma essa è connessa anche a un requisito di carattere sostanziale. Quest’ultimo si concreta nel rispetto dei canoni imprescindibili della correttezza di cui all’art. 1175 c.c. e della buona fede di cui all’articolo 1375 c.c.

Ebbene, in questo senso e sulla scorta di tali principi, devono essere “letti” anche i disposti di cui agli articoli summenzionati e, in particolare, di cui all’articolo 145 del D. Lgs. 209/05. A prescindere, dunque, dal fatto che il caso storico in esame riguardasse una vicenda risalente agli anni zero e quindi antecedente alla riforma del 2012, il danneggiato era comunque tenuto a non adottare un comportamento ostruzionistico nei confronti dei legittimi tentativi (e delle legittime istanze) dell’assicurazione volti a consentire alla stessa compagnia un compiuto accertamento del danno materiale.

Non mettere a disposizione una bicicletta o comunque adottare un contegno alieno dalla disponibilità prescritta e prevista agli articoli 1175 e 1375 c.c. comporta una patente violazione di quel canone di correttezza e buona fede che deve necessariamente illuminare una retta interpretazione dell’articolo 145. In virtù di tutto quanto testé precisato, la Cassazione enuncia il seguente principio di diritto: “In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore, l’azione di risarcimento non può essere proposta dal danneggiato che – in violazione di principi di correttezza (articolo 1175 codice civile) e buona fede (articolo 1375 codice civile) – con la propria condotta ha impedito all’assicuratore di compiere le attività volte alla formulazione dell’offerta ai sensi dell’articolo 148 del codice delle assicurazioni private”.

La sentenza presenta un evidente interesse nella misura in cui va – per così dire – a “rimpolpare” il contenuto dell’articolo 145 del D. Lgs. 209/05. D’ora in poi, tutti coloro che intendono intraprendere un’azione civile di risarcimento danni nei confronti di una compagnia assicurativa in materia di Rc-auto dovranno aver cura di verificare non solo la ricorrenza di ogni requisito formale e contenutistico di cui all’art. 149 (relativamente alle lettere di intervento), ma verificare altresì di aver rispettato – nell’ambito delle trattative stragiudiziali intercorse con parte avversa – i valori di buona fede e correttezza. Detti valori, nella lettura offerta, assurgono definitivamente al rango di ulteriori vincoli in assenza dei quali non è possibile la proposizione della causa di merito.

Avv. Francesco Carraro

(Foro di Padova)

 

 

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