Afferra con forza la ragazza e la costringe ad uscire dall’auto: per i giudici della Cassazione è violenza privata

“Per la configurazione di tale reato non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto”

La vicenda

Il Tribunale di Patti aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di lesioni personali aggravate dalla premeditazione e di violenza privata commessa ai danni della propria ragazza, condannandolo alla pena della reclusione di un anno e sei mesi.

La Corte di Appello di Messina aveva, poi, parzialmente riformato la sentenza di primo grado escludendo l’aggravante della premeditazione e, preso atto della remissione di querela, aveva dichiarato di non doversi procedere per il reato di lesioni.

Sulla vicenda si sono pronunciati infine, i giudici della Suprema Corte di Cassazione che hanno confermato la sentenza impugnata in ordine al reato di violenza privata.

Ed invero, – a detta degli Ermellini – i giudici di merito avevano correttamente ravvisato il reato di violenza privata nel comportamento dell’imputato, allorquando, in maniera irruenta, estraeva con forza la ragazza dall’abitacolo del veicolo, nonostante la chiara manifestazione di quest’ultima di non voler continuare la conversazione col predetto.

È per tale segmento dell’azione che, dunque, la corte di appello aveva fondato la decisione di condanna a carico del ragazzo: l’aver con la forza afferrando la ragazza per le braccia e costretta ad uscire dal veicolo.

Il delitto di violenza privata

A tal proposito, i giudici della Cassazione hanno ricordano che secondo il consolidato insegnamento di legittimità, “nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell’individuo, e la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicché, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge; inoltre, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa”.

Tale principio ha trovato rispondenza in altre pronunce della Cassazione, ove è stato aggiunto che “la nozione di violenza è riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa, indipendentemente dall’esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico”.(Cass. 39941/2002; Cass. 1176/2013).

È inoltre, pacifico che l’elemento della violenza si identifichi in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione.

Condanna, dunque, confermata in via definitiva.

La redazione giuridica

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