Il principale fattore di rischio rimane la sedentarietà: necessario ripensare i propri stili di vità per evitare obesità, sindrome metabolica e diabete di tipo 2

Un chiaro campanello d’allarme: obesità e diabete sono sempre più comuni in Italia e per questo gli specialisti riunitisi a Palermo per il Congresso nazionale “Dall’obesità al diabete” hanno deciso di stilare delle precise linee guida per migliorare lo stile di vita e correggere le abitudini sbagliate. In primis la sedentarietà, il maggior fattore di rischio nello sviluppo di obesità, sindrome metabolica e diabete di tipo 2.

Problematiche importanti se è vero che, solo in Sicilia dove si è svolto il Congresso, si parla del 10% della popolazione maschile e del 9% di quella femminile affetti da diabete. La media nazionale, sebbene meno alta, si assesta comunque a un preoccupante 7,7%. Di queste persone, il 43% non svolge attività fisica. La sedentarietà, dunque, al fianco di obesità e sovrappeso: nelle regioni del Sud si registra una concentrazione del 28,7% contro il 19,3% della media nazionale.

“Il binomio sport e corretta alimentazione, declinata alla dieta mediterranea, rappresenta un sorta di salvavita – ha spiegato Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo – I numeri sono sotto gli occhi di tutti e preoccupano non poco gli esperti, che incontrandosi al Congresso hanno potuto offrire un momento formativo prezioso anche per la diffusione di informazioni da estendere non solo ai cittadini, ma anche alle figure professionali che a vario titolo si occupano sul territorio di salute e prevenzione. Non si può prescindere da una corretta educazione sanitaria e responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti”.

Il tema della prevenzione primaria è centrale anche per il presidente dell’associazione medico sportiva Amsd-Fmsi di Palemo, Giuseppe Virzì, secondo cui “la medicina dello sport ha un ruolo importante perché lavora principalmente con i giovani. E’ necessario accompagnali verso un nuovo stile di vita, educandoli all’attività motoria prima dell’insorgenza della malattia, mettendo in campo progetti che entrino innanzitutto nelle scuole. Non è un caso che la scelta del luogo di questo momento formativo sia ricaduta su un istituto scolastico”.

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