“Liquidazione del danno biologico da morte iure hereditatis: la somma da risarcire va rapportata non già alla vita media futura della vittima, ma alla vita effettivamente vissuta utilizzando all’uopo il parametro tabellare della liquidazione a punti per ogni giorno di invalidità assoluta con opportuno correttivo di congrua personalizzazione”.

Si costituiva in giudizio per il risarcimento del danno morale e biologico l’erede nonché congiunta dell’uomo che il 7 dicembre di diciassette anni fa moriva a seguito dell’incidente stradale del quale rimaneva vittima, mentre attraversava una via pubblica del comune di Afragola, nel napoletano, dove veniva travolto da un’autovettura in corsa.

Il decesso si verificava qualche giorno dopo l’incidente a causa delle gravi lesioni riportate. In verità, l’auto, alla guida della quale l’uomo cagionava l’incidente letale, era sprovvista di assicurazione per la responsabilità civile. La donna pertanto, citava in giudizio la S.p.A. Assicurazioni Generali, quale Impresa designata per la Regione Campania dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada, che, all’esito del giudizio di primo grado veniva condannata al pagamento (in favore della prima) della somma di E 50.000,00 e E 10.000,00 rispettivamente a titolo di risarcimento del danno morale iure proprio, oltre agli interessi legali dal fatto sino al soddisfo, nonché alla rifusione delle spese di lite.

Entrambe le parti si rivolgevano alla Corte territoriale, per il giudizio di secondo grado.
La donna, in particolare, denunciava la mancata e/o incongrua liquidazione del danno non patrimoniale da perdita della vita subito dal proprio coniuge; nonché la mancata liquidazione del danno da lucro cessante per i perduti contributi, contrariamente a quanto disposto dal primo giudice.

Interessante la decisione adottata dalla Corte d’Appello di Napoli.
Si rammenta, sin da subito che « la lesione dell’integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo, non è configurabile come danno biologico, giacché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, salvo che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso, come nella specie, essendovi un’effettiva compromissione dell’integrità psico-fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis (Cass. 870/2008 nonché da ultimo, Sez. Unite 15350/2015 secondo cui “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove li decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”).

«Tuttavia anche un limitato arco di tempo dà il diritto agli eredi di avanzare la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis a titolo di danno biologico, sebbene in proporzione allo spatium vivendi, laddove la stessa Corte regolatrice ha precisato che il danno biologico, lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità fisica e psichica della persona, è presente ugualmente sia che la vittima abbia coscienza della lesione, sia che non l’abbia (Cass. 21976/2008), rilevando l’esistenza della lesione biopsichica, che è un fatto oggettivo, non la coscienza o la percezione di essa che la vittima possa avere avuto (Cass. 18305/2003)».

A ben vedere, aggiungono i giudici della Corte – «la tecnica risarcitoria in tema di danno biologico da morte iure hereditatis consiste nel riconoscimento di una somma rapportata non già alla vita media futura della vittima, ma alla vita effettivamente vissuta utilizzando all’uopo il parametro tabellare della liquidazione a punti per ogni giorno di invalidità assoluta con opportuno correttivo di, congrua personalizzazione».

A supporto di quanto affermato la stessa Corte di Cassazione in una recente sentenza (Cass. 9959/2006, 15491/2014), ha affermato che “in tema di danno da perdita della vita, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione della integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso. Tale danno, qualificabile come danno biologico terminale, dà luogo ad una pretesa risarcitoria, trasmissibile iure hereditatis da commisurare solo all’inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile recupero esita, anzi, nella morte”.

Più in particolare, si è aggiunto che «la persona che, dopo essere stata ferita, perde la vita a causa delle lesioni, può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale consistito nella sofferenza morale provata tra l’infortunio e la morte purché in tale periodo sia rimasta lucida e cosciente (Cass. 2564/2012); che “la paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni” (Cass. 15537/2014)».

Diverso, rimane, invece, il risarcimento del danno iure proprio, per la definitiva perdita del rapporto parentale. Si tratta, in questo caso di interesse giuridico diverso dal alla salute, configurabile piuttosto nel più generale interesse all’integrità morale o interesse alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona nell’ambito della peculiare formazione costituita dalla famiglia, la cui tutela si ricollega agli artt. 2, 29 e 30 Cost. In quanto interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la relativa lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ma piuttosto ad una riparazione ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. senza il limite ivi previsto in correlazione all’art. 185 cod. pen. attesa la natura del valore inciso.

Così concludendo, la Corte territoriale ha precisato che «nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, i soli idonei a valorizzare singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice in ordine all’apprezzamento della gravita del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo, dovendosi ritenere preferibile, per garantire l’adeguata valutazione del caso concreto e l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, l’adozione del criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano cui la Suprema Corte riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell’art. 3 Cast., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli articoli 1226 e 2056 cod. e salva l’emersione di concrete circostanze che ne giustifichino l’abbandono (Cass. 20895/2015)».

Avv. Sabrina Caporale

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