Con la sentenza n. 17720 depositata il 29.7.2014 la Suprema Corte di Cassazione, Sezione III Civile, relatore dott. Marco Rossetti, si è espressa  in tema di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di guadagno.

Questi i fatti.

Il ricorrente cita innanzi al Tribunale di Roma una compagnia assicuratrice esponendo che:

  • si era verificato un sinistro stradale che vedeva coinvolto il motociclo dallo stesso condotto e un autoveicolo assicurato per la R.c.a. con l’assicurazione resistente;
  • la responsabilità dell’accaduto doveva ascriversi al conducente dell’autoveicolo, che si era immesso nel flusso della circolazione provenendo da un’area privata, senza concedere la prescritta precedenza ai veicoli in transito.

A seguito di tanto, il ricorrente, chiedeva la condanna della compagnia assicuratrice, nonché dell’assicurato, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti.

La domanda veniva accolta dal giudice di prime cure, ma tuttavia l’attore impugnava la decisione sul presupposto che ci fosse stata da parte del tribunale una sottostima del danno.

La Corte di Appello accoglieva parzialmente il gravame, liquidando in favore del ricorrente una somma più cospicua a titolo di danno morale e rideterminando il danno da mora.

Il ricorrente, però, non si ritiene soddisfatto nemmeno dalla pronuncia di secondo grado e, quindi, propone ricorso per cassazione affidandolo a due motivi.

Con il primo motivo lamenta il fatto che la domanda di risarcimento del danno da perdita della capacità di guadagno “pur in presenza di accertata incapacità lavorativa specifica del 6%” fosse stata rigettata, ritenendo così che la Corte d’Appello sia incorsa nella violazione degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c..

Ebbene, sotto tale profilo, gli Ermellini hanno osservato che “il risarcimento del danno patrimoniale da incapacità di lavoro e di guadagno può essere accordato pertanto non già a chi si limiti a dimostrare di avere subito lesioni personali, ma soltanto a chi deduca e dimostri che a causa di quelle” abbia perso in tutto o in parte il proprio reddito ovvero, pur avendo conservato il proprio reddito in atto, in futuro tale reddito si contrarrà, ovvero crescerà meno di quanto non sarebbe avvenuto in assenza del danno.

Sta di fatto che secondo la Corte di Cassazione il ricorrente, nel caso de quo, non ha dimostrato di aver subito una contrazione del proprio reddito, sicché correttamente il giudice d’appello ha escluso l’esistenza di un danno patrimoniale da incapacità di guadagno.

Gli Ermellini hanno ritenuto poi di non accogliere neanche il secondo motivo di ricorso ritenendolo infondato e frutto di una distorta lettura della sentenza di secondo grado che, secondo il ricorrente, avrebbe errato nel negargli il risarcimento del danno estetico, essendo lo stesso stato ritenuto risarcibile dalla Corte solo nel caso in cui  avesse comportato una riduzione del reddito.

La Suprema Corte afferma sul punto che “il c.d. danno estetico non è che una forma di invalidità permanente (e quindi di danno biologico)”, e che nel caso di specie la sua liquidazione è già stata considerata dal C.T.U. al momento della determinazione del grado di invalidità permanente.

In virtù di tanto, secondo la Corte di Cassazione il danno estetico, non essendo stata provata l’incidenza dell’inestetismo sulla capacità di guadagno, non poteva essere ulteriormente risarcito ed ha pertanto rigettato il ricorso.

 Avv. Maria Teresa De Luca

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