Con l’ordinanza n. 20795/2018, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della liquidazione unitaria del danno non patrimoniale differenziando il danno morale da quello esistenziale

I fatti di causa

A seguito di un incidente stradale un uomo decede e i figli e la vedova (GM, AM e GM) convengono in giudizio, gli eredi del conducente dell’altro autoveicolo e la compagnia di assicurazioni. Intervenivano in giudizio VN e SA, svolgendo domanda risarcitoria insieme a quella introdotta, in via riconvenzionale, dagli originari convenuti, con conseguente chiamata in causa della compagnia assicuratrice dell’altro mezzo.

Il Tribunale accertava la concorrente e pari responsabilità dei due conducenti, con pronuncia confermata dalla corte di appello che, in particolare, rilevava come MM aveva omesso di dare la precedenza a FB pur avendo avuto la possibilità di avvistarlo, mentre quest’ultimo aveva superato largamente il limite di velocità consentito.

Aggiungeva la corte territoriale che la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale operata, in favore degli originari attori, dal tribunale, era condivisibile, registrando, in specie, un minimo scostamento negativo dai minimi delle c.d. tabelle milanesi, del 2013, applicabili al momento della pubblicazione della decisione di primo grado e superandoli, di poco, rispetto a quelli delle tabelle, del 2011, applicabili sia al momento del pagamento degli acconti, quindi satisfattivi, offerti dalla società di assicurazione, sia al momento del trattenimento in decisione in prime cure. Dava altresì atto dell’intervenuta transazione sulla domanda riconvenzionale degli intervenuti.

Avverso quest’ultima decisione ricorrevano per cassazione GM, AM e GM, formulando sette motivi.

La decisione della Corte e la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale

Il presente commento sofferma l’attenzione sul secondo e settimo motivo di ricorso, soggetti a esame congiunto dalla Cassazione per i profili di reciproca connessione.

La Corte d’appello ha richiamato la giurisprudenza secondo cui, dovendo essere unitaria la liquidazione del danno non patrimoniale, sarebbe stata condivisibile l’omessa considerazione distinta del danno morale, atteso che il tribunale aveva senz’altro tenuto conto della richiamata sofferenza derivata dalla morte del congiunto.

Gli Ermellini osservano che sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina unicamente le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 cod. civ.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 cod. civ.; art. 185 cod. pen.).

La natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. Corte cost. n. 233 del 2003; Cass., Sez. U., 11/11/2008, n. 26972) dev’essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche rispettivamente nel senso:

  1. a) di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;
  2. b) di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze, modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.

Ebbene secondo la Cassazione nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve considerare da una parte l’insegnamento della Consulta (Corte cost. n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e, dall’altra, il recente intervento del legislatore sugli artt.138 e 139 c.d.a. come modificati dall’art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124, la cui nuova rubrica, e il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale.

La conseguenza di tanto è che il giudice deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale, sub specie del dolore) quanto quello dinamico-relazione (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

Nella valutazione del danno de quo, in particolare, ma del resto come avviene in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto, il giudice dovrà, quindi, valutare, a fini risarcitori, tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale, quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita.

Il sistema del c.d. punto variabile

La misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito, che avviene oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile, può essere poi aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari; infatti, le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento del danno cd. dinamico-relazionale.

La Cassazione ribadisce che ai fini della c.d. “personalizzazione” del danno forfettariamente individuato attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza ha fatto riferimento, spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi in quanto legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, meritevoli in quanto tali di tradursi in una differente considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità (Cass., 21/09/2017, n. 21939, Cass.,17/01/2018, n. 901, Cass., 27/03/2018, n. 7513).

Sulla base di tale ricostruzione la Cassazione osserva che, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico, inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute.

La liquidazione finalisticamente unitaria di tale danno avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subìto tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass., 20/04/2016, n. 7766).

La Cassazione osserva che è evidente che, nella fattispecie in esame, la corte territoriale, confermando la decisione di primo grado, per un verso ha correttamente escluso che emergessero irripetibilità relazionali tali da personalizzare la liquidazione fuori dal perimetro tabellare; per altro verso, invece, non ha correttamente interpretato la giurisprudenza sull’unitarietà della liquidazione del danno non patrimoniale alla persona, omettendo di dare distinta considerazione e valutazione al danno morale inteso come sofferenza interiore che si affianca alla lesione fisio-relazionale, finendo per comporre il danno alla persona da liquidare unitariamente tanto quanto compiutamente.

Il sopravvenire dei nuovi valori tra il trattenimento in decisione e la pubblicazione della decisione

In conseguenza della suddetta conclusione, la complessiva e appunto unitaria liquidazione del danno andrà completata, secondo gli Ermellini alla luce delle tabelle milanesi del 2013, applicabili al momento della pubblicazione della decisione del tribunale così come al momento della decisione della corte di appello.

Sul punto la Cassazione rileva che:

  1. a) è pacifico, e accertato dalla sentenza impugnata, che le tabelle del 2013 hanno incrementato i valori rispetto a quelle del 2011 applicate dal tribunale, sicché può dirsi rispettato il requisito di autosufficiente specificità della censura al riguardo;
  2. b) è vero che il sopravvenire dei nuovi valori tra il trattenimento in decisione e la pubblicazione della decisione non giustifica, di per sé, un’illogica retrocessione della dinamica processuale della fase decisoria (cfr. Cass., n. 20381 del 2016, cit., stessa pagina, che esclude, perciò, in sede di appello debba riconvocarsi la camera di consiglio);
  3. c) che è vero che, sino quando penda il giudizio, il rapporto giuridico su cui interviene la liquidazione non può dirsi esaurito, ossia, appunto, definito (cfr. Cass., 20/10/2016, n. 21245);
  4. d) dovendo procedersi a nuova liquidazione che tenga unitario ma specifico conto della sofferenza morale, dovrà pertanto farsi applicazione delle tabelle del 2013, con conseguente giudicato interno e vincolo, sul punto, per il giudice del rinvio;
  5. e) essendo stato accertato che sono stati pagati acconti, la complessiva liquidazione, ancora “sub iudice“, dovrà avvenire devalutando l’acconto e il credito alla data dell’illecito, detraendo l’acconto dal credito e calcolando gli interessi compensativi, quale componente necessaria della domandata liquidazione (cfr. Cass., 15/02/2017, n. 4028), individuando quindi un saggio scelto in via equitativa, e applicandolo prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva (cfr. Cass., 20/04/2017, n. 9950 e succ. conf.).

La Corte accoglie quindi il secondo e settimo motivo di ricorso e rigetta gli altri, cassando la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviando alla corte di appello di Milano perché, in altra composizione, si pronunci anche sulle spese di legittimità.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

Leggi anche:
INCIDENTE D’AUTO ANDANDO AL LAVORO, QUAND’È INFORTUNIO SUL LAVORO IN ITINERE?

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui