Danno non Patrimoniale: dalla Tavola rotonda “Danno biologico, verso una metodologia condivisa” del Convegno della Società Medico Legale Triveneta

Il danno non patrimoniale secondo la Cassazione

Posta la necessità di un dialogo tra medici legali e giuristi sulla liquidazione del danno biologico, bisogna partire dalla constatazione circa le contraddizioni e divisioni che si registrano su questo punto all’interno del mondo giuridico. Vanno rammentate, a tale proposito, le parole di una recente ordinanza dei giudici di legittimità (Cass. 7513/2018) per osservare che, sul fronte dei pregiudizi non patrimoniali, “i concetti vengano impiegati dagli interpreti in modo polisemico –  sicché lemmi identici vengono talora utilizzati per esprimere concetti diversi e, altrove, espressioni diverse finiscono per esprimere il medesimo significato”

A creare tale situazione hanno contribuito, è necessario sottolinearlo, le sentenze delle Sezioni Unite del novembre 2008, che hanno innescato diatribe dalla quali solo oggi, a quasi dieci anni di distanza, sembra sia possibile uscire. Numerose appaiono, in questi ultimi mesi, le pronunce attraverso le quali i giudici di legittimità sembrano voler scandire in maniera definitiva alcuni principi, in passato oggetto di accesa discussione.

Va richiamata, anzitutto, la sentenza n. 901/2018, che, riproponendo le indicazioni contenuto nella di poco precedente ordinanza n. 26805/2017, formula le seguenti regole:

  • Per quanto riguarda il significato da attribuire all’affermazione secondo cui il danno non patrimoniale riveste natura “unitaria”, unica è da intendersi la disciplina di riferimento per tale voce del pregiudizio, a prescindere da quale sia il diritto costituzionalmente protetto dalla cui lesione la compromissione trae origine.
  • È indispensabile tener conto della fenomenologia del danno alla persona, del quale viene posta in evidenza le duplice essenza: da una lato, il danno dinamico-relazionale quale modificazione peggiorativa della vita quotidiana e, dall’altro lato, il profilo interiore del danno, corrispondente al patimento morale in tutti i suoi aspetti: quali dolore, vergogna, rimorso, disistima di sé, malinconia, tristezza.
  • Sofferenza interiore e la modificazione negativa delle dinamiche relazionali sono danni diversi e autonomamente risarcibili, in quanto risulti provata la relativa sussistenza.

A supporto di tali conclusioni viene richiamata sia la pronuncia della Consulta n. 235/2014 – in quanto la stessa riconosce la diversità intercorrente, nel sistema delle micropermanenti regolate dall’art. 139 cod. ass., tra danno biologico e danno morale – sia il dettato dell’art. 138 cod. ass., nella versione di recente riformata attraverso la legge annuale per il mercato e la concorrenza.

Ulteriori precisazioni provengono dall’ordinanza n. 7513/2018, che punta a stabilire cosa debba intendersi per “danno dinamico-relazionale”. La S.C. segnala come tale espressione compaia per la prima volta nell’art. 13 del d.lgs. 38/2000, con lo scopo di precisare che la tabella delle menomazioni (sulla base delle quali stimare il danno biologico indennizzabile dall’INAIL) deve essere comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali, da intendersi quali ripercussioni sulla vita quotidiana della vittima. La medesima espressione compare, poi, nell’art. 5 della l. 57/2001: norma che prevede l’emanazione di una tabella delle menomazioni in seno alla quale – secondo i giudici di legittimità – il riferimento alla compromissione degli aspetti dinamico-relazionali viene utilizzato come perifrasi della nozione di danno biologico. Sulla scorta di tali indicazioni, si ritiene che quest’ultimo pregiudizio consista nell’ordinaria compromissione delle attività quotidiane, suscettibile di personalizzazione laddove vengano in gioco attività particolari, non comuni a tutti. Si tratterebbe, secondo la Cassazione, di conclusioni corroborate dalle indicazioni della medicina legale, propensa a riconoscere che il danno biologico vada inteso quale “menomazione all’integrità psicofisica della persona la quale esplica una incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti”.

Le conclusioni cui perviene l’ordinanza sono le seguenti:

  • In presenza di una lesione permanente alla salute, “costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente”. La misura standard del risarcimento potrà essere aumentata “solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari”.
  • Non costituisce invece duplicazione risarcitoria l’attribuzione, oltre al danno biologico, di un “ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore”.
  • I pregiudizi di carattere morale dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione, come confermato dal nuovo testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., nella parte in cui, sotto l’unitaria definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale.

Alla luce di tali provvedimenti, si perviene alla scomposizione dell’area non patrimoniale del danno in due distinte componenti: (1) danno morale, e (2) danno dinamico-relazionale, che – in caso di lesione alla salute – assume la veste di danno biologico.

 

Il danno morale

Per quanto riguarda il danno morale, si tratta di far capo a quelle compromissioni tradizionalmente descritte dalla giurisprudenza nei termini di transeunte patema d’animo. In quest’ottica, entrambi i provvedimenti fanno riferimento alle sofferenze di carattere emotivo provocate dall’illecito. All’interno delle stesse non si ritrova, invece, alcuna traccia di quelle indicazioni – emerse in passato presso i giudici di legittimità – propense a includere nell’area morale del pregiudizio un’ulteriore dimensione, riguardante la lesione della dignità della persona.

Restando sul piano della sofferenza interiore, discussa è apparsa in passato la definizione della linea di demarcazione tra danno morale e danno psichico, quale specie di danno biologico. Particolare rilievo avevano assunto, su questo piano, le affermazioni delle Sezioni Unite del novembre 2008, secondo cui la sofferenza soggettiva potrebbe essere liquidata autonomamente – sotto la veste di danno morale – ove confinata a livello di turbamento dell’animo e dolore intimo; mentre nel caso in cui si verifichino degenerazioni patologiche, tale pregiudizio rientrerebbe nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.  Sulla scorta di tali considerazioni, nonché dell’idea – sostenuta dalle stesse sentenze di San Martino – secondo cui costituisce duplicazione risarcitoria, in caso di lesione alla salute, la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, è stata prospettata la perdita di autonomia di quest’ultima voce nelle ipotesi in cui il torto coinvolga l’integrità psico-fisica della persona.

Tale affermazione risulta definitivamente superata: l’autonomia del danno morale viene, infatti, esplicitamente riconosciuta anche nei casi in cui le sofferenze di carattere emotivo conseguano alla lesione dell’integrità psico-fisica.  Si tratta di una conclusione che trova anzi tutto riscontro nella definizione normativa del danno biologico: la quale risulta comprensiva della negativa incidenza della menomazione sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, ma non fa alcun riferimento alle ripercussioni riguardanti la sfera emotiva di quest’ultimo.  Il fatto che la sofferenza emotiva sia indotta da una lesione della salute non viene, dunque, per alcun verso a mutarne la natura.

La sentenza n. 901/2018 sottolinea che la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto resta ferma anche all’interno del sotto-sistema delle micropermanenti, da quest’ultima norma disciplinato. La diversità tra le due voci del pregiudizio emergerebbe inoltre, in maniera cristallina, in seno all’art. 138, norma la quale – deputata in origine a disciplinare esclusivamente i pregiudizi di natura relazionale – è stata riformata per essere riferita al complessivo danno non patrimoniale discendente dalla lesione alla salute. Di qui la conseguente necessità di innovare il relativo metodo di calcolo, il quale è stato integrato attraverso l’inclusione nel valore del punto di una quota corrispondente alla componente morale standard del pregiudizio.

 

Il danno dinamico-relazionale

Per quanto riguarda la componente del danno non patrimoniale che coinvolge la sfera esterna della vittima, quest’ultima viene identificata nei termini di “danno dinamico- relazionale”. La scelta di un’etichetta del genere punta a evitare il richiamo a una voce come quella del danno esistenziale, in ragione dell’ostilità manifestata dalle Sezioni Unite nei confronti di tale categoria. Il fatto che, parlando di danno dinamico-relazionale,  i giudici di legittimità intendano in realtà riferirsi al danno esistenziale emerge, del resto, nella stessa pronuncia n. 901/2018, la quale riconosce come sussista una sovrapposizione tra due concetti: precisando che il danno esistenziale, secondo le indicazioni giurisprudenziali corrisponde al “pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diversa quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”.

Per quanto concerne il danno biologico, si afferma che esso viene a coincidere con il danno dinamico- relazionale, in quanto lo stesso trovi origine in una lesione alla salute: queste le conclusioni dell’ordinanza n. 7513/2018. Un’affermazione di quest’ultimo tipo deve, però, essere vagliata alla luce di un’analisi compiuta della nozione che viene formulata a livello normativo. Posto che il danno biologico comprende senz’altro le compromissioni di carattere dinamico-relazionale provocate dalla lesione alla salute, ciò non significa che viene pienamente a coincidere con le stesse. Un’indicazione di quest’ultimo tipo finisce, infatti, per obliterare quella che in passato veniva identificata nei termini di componente statica del danno biologico: la quale, dal canto suo, trova riscontro nella definizione normativa, considerato che quest’ultima descrive il danno biologico (anche) nei termini di lesione all’integrità psico-fisica. Posto che quest’ultima incide sul corpo o sulla psiche della vittima, il danno viene a concretizzarsi, anzitutto, nella diminuita funzionalità degli stessi. È tale menomazione a incarnare quella che in passato veniva definita componente statica del pregiudizio; cui andrà a sommarsi la proiezione negativa che la disfunzionalità produce nella vita quotidiana del soggetto e, più ampiamente, nella dimensione dinamico-relazionale. Il danno biologico ben potrebbe essere liquidato, allora, a fronte di un’accertata menomazione anatomo-funzionale, anche in assenza di ulteriori riflessi dinamico-relazionali.

Per quanto concerne la compromissione degli aspetti dinamico relazionali derivanti da lesione alla salute, appare del tutto condivisibile la distinzione, operata dall’ordinanza n. 7513/2018, tra conseguenze standard, comuni a tutti i soggetti che dovessero patire quel certo tipo di invalidità, ed (eventuali) conseguenze peculiari, legate alla particolarità del caso concreto. Mentre queste ultime devono essere oggetto di specifica prova, e solo in tal caso il giudice potrà tenerne conto ai fini di un incremento della liquidazione, le compromissioni di carattere standard potranno essere date per scontate, sulla base di un ragionamento di carattere presuntivo. Resta da verificare se le compromissioni dinamico-relazionali di carattere ordinario appaiano incluse all’interno del calcolo tabellare. Le tabelle di Milano, a partire dal 2009, prendono a riferimento un valore del punto comprensivo degli aspetti anatomo-funzionali, degli aspetti relazionali e dei profili di sofferenza soggettiva, intesi quali valori medi. Si tratta, perciò,  di interrogarsi sul significato che assume il riferimento al valore medio del danno relazionale, alla luce della constatazione che – ad ogni valore percentuale del punto – corrispondono menomazioni di carattere variegato. A parità di valore, possiamo  trovarci di fronte a menomazioni suscettibili di riflettersi con portata diversificata sul piano dinamico-relazionale, per cui si tratta di chiedersi se – nei casi in cui la menomazione comporti, ancorché su un piano standard, una ripercussione relazionale di particolare impatto – il valore tabellare possa effettivamente esaurire l’intera considerazione di tale componente del pregiudizio.

 

La liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla salute

Una volta chiarita la diversità ontologica che ricorre tra danno biologico e danno morale, resta da sottolineare che la considerazione di tali differenti versanti del danno può ben essere fatta confluire nell’ambito di una liquidazione di carattere unitario, come avviene in seno alle tabelle del Tribunale di Milano: le quali, pur tenendo ferma la distinzione concettuale tra le due componenti, provvedono a convogliare entrambe nel calcolo del valore del punto di invalidità.

Diverso è il discorso per le tabelle normative di cui ai nuovi artt. 138 e 139 cod. ass. Per quanto riguarda quest’ultima tabella, i relativi valori del punto sono stati, in passato, determinati prendendo a riferimento il danno biologico strettamente inteso; gli stessi avrebbero dovuto essere incrementati nel momento in cui è stato modificato il fenomeno oggetto di misurazione, includendo in quell’ambito anche la componente morale. Nessuna revisione è stata, tuttavia, prevista dalla riforma: che, pur estendendo il raggio di azione della tabelle, ha mantenuto fermo il precedente metodo di calcolo. Le sofferenze emotive vengono a trovare riscontro soltanto qualora la menomazione causi una sofferenza psico-fisica di particolare intensità: sicché la personalizzazione della liquidazione è ammessa esclusivamente a fronte di situazioni di patimento del tutto peculiari, mentre nessuna considerazione appare riconosciuta alla componente standard del pregiudizio. Una previsione del genere rappresenta un passo indietro rispetto alla disciplina previgente, all’intero della quale la personalizzazione del danno biologico da micropermanenti faceva generico riferimento alle condizioni soggettive della vittima, permettendo quindi al giudice di tener conto (sia pure entro i limiti del tetto normativo) del danno morale complessivamente inteso.

La componente morale del danno non trova completo riscontro nemmeno per quel che riguarda le macrolesioni: sebbene l’art. 138 preveda che il valore del punto venga incrementato al fine di considerare la quota standard del danno morale, una lacuna si registra a livello di personalizzazione. La norma afferma, infatti, che il risarcimento possa essere incrementato fino al 30% esclusivamente in relazione alle compromissioni di specifici aspetti dinamico- relazionali, e non già – come avviene in seno all’art. 139 – qualora la menomazione causi una sofferenza di particolare intensità.

Prof.ssa Patrizia Ziviz

Professore associato di Diritto privato presso l’Università di Trieste

 

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