Ancora una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 31549/2018) rispetto ad un caso di morte e successiva richiesta di risarcimento del danno patrimoniale da perdita del rapporto parentale, avanzato dagli eredi 

Il caso

La vicenda arriva dalla Corte d’Appello pugliese, che confermava in toto quanto statuito dal Giudice di prime cure di Taranto, ove si rivolgevano i familiari (moglie e 2 figli) di un uomo deceduto a causa di una malattia professionale per l’ottenimento del ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali da loro subiti per il decesso del congiunto, in specie chiedevano il risarcimento del danno patrimoniale da perdita del rapporto parentale.

Il primo motivo di impugnazione

Con uno dei motivi di impugnazione i familiari dell’uomo deceduto lamentano il mancato riconoscimento degli interessi compensativi derivanti dal ritardo con il quale il debito di valore era stato liquidato.

Il motivo viene ritenuto fondato.

Gli Ermellini ribadiscono l’orientamento ormai consolidato, secondo cui quando la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata per equivalente, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno provocato dal ritardato pagamento della somma.

La prova del mancato guadagno può essere offerta anche mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi a un tasso stabilito, valutando tutte le circostanze del fatto. In tale ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati sulla somma liquidata in linea capitale rivalutata, mentre può essere effettuata la determinazione con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base agli indici di rivalutazione monetaria, oppure in base ad un indice medio.

Ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento degli interessi compensativi e della svalutazione monetaria che devono essere attribuiti anche se non espressamente richiesti.

Il secondo motivo di impugnazione

Altro motivo di ricorso dei familiari dell’uomo deceduto, concernente il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale in favore della moglie, è stato ritenuto fondato.

Ha errato la Corte territoriale nel ritenere che non erano stati provati elementi utili alla configurazione della posizione economica affinché si potesse calcolare il contributo reddituale ricevuto o ricevibile dal defunto coniuge.

Infatti il principio giurisprudenziale consolidato da oltre un decennio, stabilisce che i danni patrimoniali futuri risarcibili in capo al coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, e ravvisabili nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l’aspetto del lucro cessante.

La prova di questo tipo di danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno.

Gli Ermellini pertanto ritengono che tali principi debbano essere applicati al caso di specie in quanto il defunto svolgeva attività lavorativa con la quale contribuiva al mantenimento della famiglia.

Il danno patrimoniale, pertanto, deve essere liquidato sulla base di una valutazione equitativa circostanziata, che deve tenere in considerazione la rilevanza del legame di solidarietà familiare e le prospettive di reddito professionale che avrebbero consentito alla moglie del defunto di utilizzare parte del reddito futuro del coniuge per soddisfare le esigenze della famiglia per il mantenimento del tenore di vita.

La decisione della Cassazione e i principi di diritto

La sentenza viene cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che dovrà applicare i seguenti principi di diritto:

a)    “Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori regolati dall’art. 1224 c.c., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente, al pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, la quale non configura il risarcimento di un maggiore e diverso danno, ma soltanto una diversa espressione monetaria di esso. Ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria – quali componenti indispensabili del risarcimento- , tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni. La prova ad essi relativa può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio”.

b)    “I danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabili nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che, sia in relazione ai precetti normativi che per la pratica di vita improntata a regole etico – sociali di solidarietà e di costume, il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l’aspetto del lucro cessante, ed il relativo risarcimento è collegato a un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge; la prova del danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno”.

Avv. Emanuela Foligno

(Foro di Milano)

 

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