Nel 2014 la Corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto totalmente risarcito, tramite indennizzo erogato dall’INAIL, il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro specifica subito dal dipendente di un’azienda italiana, a seguito di un infortunio verificatosi durante l’orario di lavoro

Nel computo della somma liquidata, a titolo di risarcimento del danno, la corte territoriale aveva riconosciuto il danno biologico subito dalla madre del predetto lavoratore (cd. danno riflesso).

Nella specie, la corte distrettuale aveva ritenuto di liquidare “le ansie, le preoccupazioni, gli sbalzi di umore, le delusioni e in genere le difficoltà caratteriali del figlio” che questi “scaricava – per la vicinanza spaziale oltre che per il rapporto parentale” – sulla madre.

Aveva, inoltre, considerato le “preoccupazioni e delusioni” maturate dalla stessa “per la condizione di difficoltà in cui versava il figlio a causa dell’infortunio”.

Tuttavia, secondo la madre del lavoratore infortunato, tale somma non era sufficiente ed anzi, trascurava delle circostanze per nulla irrilevanti, quali, prima fra tutte, il fatto che si trattasse di un giovane di appena ventisette anni, che questi conviveva in un nucleo familiare formato solo da lui e dalla stessa madre, la gravità della lesione, la lunga ospedalizzazione, gli interventi chirurgici, la perdita del lavoro e del 50€ della capacità lavorativa specifica, nonché la gravità della colpa datoriale.

Per non parlare del fatto, poi, che tale somma non valorizzava la sua dedizione e il suo impegno quotidiano di assistenza nei confronti del figlio, di quella successiva ai ricoveri ospedalieri, delle difficoltà caratteriali di quest’ultimo e delle dinamiche familiari prima e dopo l’incidente.

Seguiva, pertanto, il ricorso per Cassazione

Ebbene per i giudici della Cassazione, a prescindere dalla specifica definizione utilizzata dai giudici di merito, la valutazione effettuava risultava esaustiva di tutto il danno non patrimoniale subito, iure proprio, dalla madre del lavoratore, danno che- a partire dalle c.d. “sentenze di San Martino” del 2008 (CSS. Sez. Un. n. 26972/2008) -costituisce una categoria di danno unitaria, che ricomprende in sé tutte le possibili componenti di pregiudizio non aventi rilievo patrimoniale, da liquidarsi, dunque, in modo onnicomprensivo, evitando duplicazioni risarcitorie.

I giudici di merito avevano perciò fatto bene ad escludere le ulteriori circostante dedotte dalla madre nel computo della somma liquidata a titolo di danno riflesso, stante l’assenza di prove sufficienti.

In conclusione, il ricorso è stato rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

 

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