La Corte d’Appello ha ribaltato la decisione del Giudice di primo grado ritenendo non accertato il nesso causale tra il decesso e la modalità di trasporto

È stato assolto ‘perché il fatto non sussiste’ un medico in servizio nel 2004 presso l’ufficio sanitario del carcere di Bari, imputato per omicidio colposo nell’ambito del processo per il decesso di un detenuto affetto da cardiopatia ischemica.
La vittima, un salentino che doveva scontare 23 anni di reclusione per detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, morì durante il trasferimento presso il carcere di Secondigliano. Secondo l’ipotesi accusatoria il medico avrebbe agito con colpa perché dispose che il trasporto del paziente avvenisse su un furgone dell’ amministrazione penitenziaria, con un infermiere, piuttosto che con un’ ambulanza e con un medico, come invece avrebbe imposto il quadro clinico.
Il camice bianco era stato ritenuto responsabile in primo grado dal Tribunale del capoluogo pugliese nell’aprile del 2013, con la condanna a cinque mesi di reclusione. La Corte di Appello, invece, con sentenza divenuta definitiva, ha ribaltato tale decisione stabilendo che “non è stato appurato quali siano le cause della morte”, salvo che non le si vogliano imputare comunque tutte al medico, “come pare fare il giudice (di primo grado, ndr), laddove potrebbe ascrivergli anche il non previsto eventuale malfunzionamento del pace-maker, con ciò davvero imputandogli, anzi scaricandogli, responsabilità di sistema”.
Secondo la Corte d’Appello, quindi, non è stato possibile accertare il nesso causale fra la modalità del trasporto e la morte. Del resto il medico imputato era stato soltanto l’ultimo medico a valutare le condizioni del paziente, prendendo atto di una decisione già presa da altri, quella cioè del trasferimento in altro penitenziario.
I Giudici di secondo grado, inoltre, hanno condiviso la linea difensiva secondo cui “non sono i medici a disporre della libertà personale dei detenuti” , bensì l’autorità giudiziaria e, in casi di urgenza, il direttore del carcere. Il medico, in altri termini, “non ha il potere di disporre direttamente il ricovero di un detenuto ma solo di segnalarne la necessità”, come avvenuto nel caso in questione, perché la decisione di trasferire il detenuto in altra struttura nasceva proprio dall’esigenza di cercare un centro clinico attrezzato.
 
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