La legge finanziaria per l’anno 1999, ha voluto limitare la spesa pubblica, ancorando la concessione dell’indennità “al requisito della necessaria dipendenza dello stato di bisogno del lavoratore da situazioni rigorosamente involontarie”

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12565/2017, si è pronunciata in relazione al ricorso presentato dall’Inps contro la sentenza della Corte di Appello di Firenze che, confermando la decisione del Tribunale di Lucca, condannava l’Istituto nazionale di previdenza sociale al pagamento dell’indennità di disoccupazione di un lavoratore che si era dimesso dal proprio impiego in una panetteria per ragioni di salute “derivanti da allergia alle farine”.
Il Giudice di secondo grado aveva ritenuto che la natura delle patologie da cui il lavoratore era affetto rendeva evidente che non potesse in alcun modo essere reimpiegato all’interno della panetteria in cui lavorava, e pertanto dovesse vedersi riconosciuto il diritto all’indennità di disoccupazione. Ma l’Inps, nel ricorrere davanti alla Suprema Corte, aveva obiettato che, ai sensi dell’art. 34, comma 5, della legge n. 448 del 1998 (legge finanziaria per il 1999), l’indennità di disoccupazione non deve essere corrisposta in caso di dimissioni.
Secondo l’Istituto, inoltre, la norma a cui far riferimento nel caso in esame doveva essere l’articolo 45 del Regio Decreto n. 1827 del 1935, in base al quale il presupposto necessario per l’erogazione dell’indennità di disoccupazione sarebbe “uno stato di disoccupazione involontaria”.
Gli Ermellini, hanno effettivamente ritenuto fondato il motivo del ricorso annullando la sentenza della Corte d’appello e negando il diritto del lavoratore a percepire l’indennità di disoccupazione. Per la Cassazione, infatti, la normativa richiamata dal ricorrente stabilisce che, ai fini della concessione dell’indennità, è necessario uno “stato di disoccupazione involontaria” ma la legge finanziaria per l’anno 1999, ha voluto limitare la spesa pubblica, ancorando la concessione dell’indennità “al requisito della necessaria dipendenza dello stato di bisogno del lavoratore da situazioni rigorosamente involontarie”, ritenendo che le dimissioni volontarie impedissero, dunque, in ogni caso, l’erogazione.
In tal senso era già intervenuta la sentenza n. 29481 del 2008, con cui la stessa Corte, in un caso analogo, aveva precisato che “la disoccupazione è involontaria quando è dovuta a dimissioni rassegnate per il comportamento di un altro soggetto” oppure quando le stesse siano riconducibili ad un “difetto del rapporto di lavoro, così grave da impedirne la provvisoria esecuzione”. Era pertanto evidente, secondo il Palazzaccio, che tali disposizioni facessero riferimento “al fatto del datore di lavoro o al fatto del terzo, non già alla situazione soggettiva del lavoratore”, la cui decisione di dimettersi, sebbene dettata da motivi di salute, “rimane tuttavia volontaria”.
Ciò considerato, la Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’Inps, annullando la sentenza emessa dalla Corte d’appello e negando il diritto del lavoratore dimissionario a percepire l’indennità di disoccupazione.

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