In materia di concorso nel reato di detenzione di droga al fine di spaccio è necessario che l’agente abbia partecipato o comunque facilitato la realizzazione dello stesso; pertanto, deve essere annullata la sentenza di condanna che si fonda su una sorta di presunzione di codetenzione correlata allo spazio in cui il fatto si è verificato, ossia la disponibilità di un armadio

La Corte di appello di Firenze aveva confermato la condanna inflitta ad un imputato, all’esito del giudizio abbreviato, per il reato di detenzione di droga, commessa in concorso con altri due soggetti.

Erano stati rinvenuti in un armadio all’interno della loro abitazione 2,593 kg. di hashish e 4 gr. di marijuana ma, a detta della difesa, gli indizi a suo carico non sarebbero stati gravi, precisi e concordanti, sicché non poteva dirsi superata la soglia del ragionevole dubbio.

In particolare, la condanna del proprio assistito sarebbe intervenuta perché questi era il sub conduttore della stanza, occupata da lui insieme agli altri coimputati, nel cui unico armadio era stato ritrovato il trolley contenente la sostanza stupefacente.

Il concorso di persone nel reato sarebbe stato ritenuto, dunque, esistente solo perché il quantitativo rilevante, detenuto in uno spazio ristretto, comportava logicamente ed organizzativamente il concorso di persone.

Ma chi lo ha detto?

La Corte di appello avrebbe dovuto indicare perché la condivisione dello spazio comune significava anche condivisione della detenzione, non essendo indicato di chi fosse il trolley e posto che nessuno dei coimputati aveva rivendicato la paternità di detta sostanza.

Inoltre, la Corte di appello avrebbe dovuto dare valore probatorio anche alle altre dichiarazioni testimoniali dalle quali era emerso che quell’appartamento e nella specie quella stanza era frequentata spesso da altri ospiti.

A chi apparteneva la droga allora?

Il ragionamento dei giudici della corte di merito sarebbe stato fondato su una semplice supposizione, posto che nessun cliente era stato identificato e non erano stati rinvenuti neppure strumenti per il peso e il confezionamento della sostanza stupefacente in possesso dell’imputato che lasciassero dedurre che egli fosse coinvolto nella detenzione o che ne fosse anche un semplice connivente.

L’unica prova era la disponibilità della stanza insieme agli altri coimputati.

Quindi il ricorso per Cassazione.

Al ricorrente era stata contestata una condotta di codetenzione della sostanza stupefacente rinvenuta in un trolley posto nell’armadio della stanza; armadio in uso alle tre persone che la occupavano.

Ebbene, secondo i giudici Ermellini costituisce travisamento del quadro probatorio quello di incastrare il giovane imputato fondando la decisione su sorta di presunzione di codetenzione correlata allo spazio in cui il fatto è avvenuto e alla disponibilità dell’armadio.

Il corretto percorso logico che invece i giudici di merito avrebbero dovuto seguire era quello di individuare l’autore della condotta tipica in base agli elementi di prova esistenti (di chi è il trolley portato nella stanza) per poi individuare, trattandosi di una condotta in concorso di persone nel reato, in maniera concreta l’attività del concorrente: tale attività poteva estrinsecarsi o nella commissione della condotta tipica o di parte di essa o di ogni altra azione o omissione che concretizzi un qualsiasi contributo, materiale o psicologico, alla fase dell’ideazione, organizzazione ed esecuzione dell’azione criminosa collegata dal nesso causale.

Al contrario, in assenza di prova della diretta disponibilità della sostanza stupefacente al ricorrente, l’aver dato la disponibilità dell’alloggio e l’uso comune dell’armadio non potevano certo concretizzare il concorso di persone nel reato – hanno affermato i giudici della Corte.

Il concorso

Il contributo, per assumere rilievo penale – deve estrinsecarsi, in maniera concreta, consapevole e volontaria, nell’occultamento, custodia e controllo della sostanza stupefacente; una condotta quindi finalizzata ad evitare che la stessa sia rinvenuta e sia prodromica a protrarre la illegittima detenzione, non essendo per altro neanche sufficiente la consapevolezza della perpetrazione del reato a parte di altri.

In caso di mera presenza sul luogo del reato, l’agente è punibile a titolo di concorso di persone solo qualora abbia partecipato o comunque facilitato la realizzazione del reato, anche mediante un consapevole rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore; quando la presenza, purché non meramente casuale, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto ed allorché l’agente abbia la coscienza e la volontà dell’evento cagionato da altro o altri coimputati, sia servita a fornire stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza, rafforzando l’altrui proposito criminoso.

È per tali ragioni che la Cassazione ha deciso di accogliere il ricorso difensivo, annullando la sentenza impugnata.

La redazione giuridica

 

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