Respinto il ricorso di un impiegato licenziato per eccessivo uso privato del telefono in ufficio. Il lavoratore lamentava uno stato di fragilità psicologica giustificando le telefonate con la necessità di sentire ‘voci amiche’

E’ legittimo il licenziamento del lavoratore che effettui molte e lunghe chiamate dall’ufficio, provocando peraltro all’azienda un grave danno economico. Non vale a scongiurare il provvedimento neppure l’invocazione di uno stato depressivo e la necessità di sentire voci amiche per alleviare momenti difficili della giornata. Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3315/2018 pronunciandosi sul ricorso presentato da un impiegato di una compagnia di telefonia. L’uomo era stato allontanato dal posto di lavoro per eccessivo uso privato del telefono in ufficio. Aveva totalizzato, a carico del proprio datore, una bolletta telefonica superiore agli 8mila euro.

Secondo quanto appurato dai giudici di merito il lavoratore si tratteneva in ufficio al di fuori degli orari previsti dedicandosi a “una serie lunghissima di telefonate”. Le chiamate erano dirette verso numerazioni non geografiche a valore aggiunto; un traffico telefonico “non attinente alle esigenze di servizio, non consentito e non autorizzato”. Il tutto utilizzando la linea dedicata al fax del reparto cui era addetto.

Il ricorrente aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Roma davanti ai Giudici del Palazzaccio.

Sosteneva che le telefonate rispondevano a uno stato “fragilità psicologica” dovuta “a condotte vessatorie poste in essere dal datore di lavoro”.

Gli Ermellini, tuttavia, non hanno aderito alle argomentazioni proposte, rigettando il relativo ricorso. La Cassazione ha appurato che nel corso della causa non erano emerse tracce di mobbing e che il lavoratore non aveva nemmeno presentato documentazione medica sulla sua salute.

Indipendentemente da ciò, anche ammettendo la veridicità dello stato di sofferenza psicologica, per la Suprema Corte  “non si vede neppure in astratto e sul piano della mera razionalità” come tale situazione possa giustificare il ripetuto uso illecito di mezzi aziendali a fini privati.

Al lavoratore, specifica la Cassazione “certamente non poteva sfuggire il carattere illecito della condotta”. Così come  “certamente non può nemmeno ipotizzarsi una sorta di diritto di ritorsione per comportamenti pretesamente mobbizzanti”. Infine, se l’impiegato era realmente affetto da depressione “nulla gli avrebbe impedito di ricorrere alle cure del caso” anziché consolarsi con le “voci amiche”.

 

 

Leggi anche:

DISPENSATO DA MANSIONI GRAVOSE MA GIOCA A TENNIS, NO AL LICENZIAMENTO

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui