La nullità non riguarda l’invio via Pec in sé ma l’efficacia della documentazione allagata in pdf

L’intimazione di pagamento inviata con PEC è da considerarsi nulla in quanto il pdf allegato non rappresenta un valido documento informatico e non ne è garantita la genuinità. Lo stabiliscono due sentenze (n. 100/2017 e n. 101/2017) depositate il 10 febbraio 2017 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Savona entrambe relative alla validità procedimentale delle cartelle esattoriali notificate via Posta Elettronica Certificata.
Nel caso in esame la società contribuente ricorrente aveva ricevuto nove cartelle, a cui si aggiungevano due avvisi di intimazione, relativi a vari tributi non pagati delle annualità 2006, 2010 e 2011. L’azienda chiedeva per alcune di esse l’annullamento sostenendo che non erano mai state notificate, e invocando la nullità dell’intimazione di pagamento in quanto notificata via PEC, trasmissione che, per l’appunto, non avrebbe garantito il valore di certezza e corrispondenza e sarebbe stata, inoltre, mancante della firma digitale.
La CTP ha respinto il ricorso in relazione alla nullità delle cartelle esattoriali ritenendo che Equitalia avesse agito correttamente in quanto era stato dimostrato che le cartelle erano state regolarmente notificate sia tramite PEC che a mezzo del servizio postale, come previsto dall’art. 26 d.P.R. 602/1973.
In relazione alle intimazioni di pagamento, invece, i Giudici hanno ritenuto fondate le motivazioni presentate dalla ricorrente. Per la CTP si tratta di una materia recentemente introdotta e sulla quale non vi è giurisprudenza univoca; il problema non riguarda la comunicazione PEC in sé, quanto la documentazione allegata in pdf contenente la cartella vera e propria che, secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale, rappresenterebbe una mera copia del documento informatico e non sarebbe pertanto valida a fini probatori.
La perizia tecnica di parte presentata dall’azienda ricorrente, le cui conclusioni sono state accolte dalla Corte, aveva attestato che i documenti inviati via PEC sarebbero stati “del tutto carenti di quelle procedure atte a garantire la genuina paternità, nonché mancanti della firma informatica e/o digitale”. I documenti, inoltre non sono stati ritenuti rispondenti a “criteri di univocità e di immodificabilità”, e pertanto non garantirebbero il valore di certezza e di corrispondenza, requisiti necessariamente richiesti dalla normativa.

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