Chi l’ha detto che alla figlia maggiorenne, che rifiuta di vedere il padre, non va versato l’assegno di mantenimento?

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2735/2019. La vicenda attiene alla richiesta di un padre di vedere revocato l’assegno di mantenimento in favore della figlia maggiorenne, che il Tribunale di primo grado aveva disposto a suo carico e che in secondo grado era stato rideterminato nella somma di euro 1.200.

Le ragioni della contestazione nascevano dal fatto che la figlia aveva deciso, da tempo, di non frequentarlo; circostanza per nulla irrilevante ma che i giudici di merito avevano completamente omesso di valorizzare.

Cosicché l’uomo decideva di ricorrere ai giudici della Cassazione.

Ma per questi ultimi, la censura presentata dal ricorrente si focalizza su una circostanza del tutto irrilevante!

Il fatto che la mancata frequentazione della figlia sia dovuta alla decisione della stessa di non frequentare il padre, non interferisce, in termini economici, col fatto che il ricorrente non vada incontro ad alcun diretto esborso o ad alcuna cura in favore della stessa, parametri che vanno obiettivamente valutati in sede di determinazione del quantum, dell’assegno di mantenimento in favore della prole.

L’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni trova diretto riconoscimento sia nella Costituzione (art. 30) sia nel codice civile (artt. 147 e ss. che impongono ad entrambi i genitori di mantenere, istruire ed educare i figli tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni degli stessi e in ragione delle rispettive sostanze e capacità di lavoro e professionali). In nessuna delle disposizioni citate si esclude l’obbligo sol perché il figlio abbia raggiunto la maggiore età.

Il riconoscimento è, poi, espressamente contemplato nella legge ordinaria speciale. Si tratta della L. n. 54/2006 che all’art. 155-quinquies stabilisce che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”; e nella giurisprudenza di legittimità e di merito. Sul punto è stato affermato che non si tratta di un obbligo protratto all’infinito, ma dalla durata mutevole, da valutare caso per caso. (Trib. Novara sent. n. 238/2011).

Dott.ssa Sabrina Caporale

 

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