In materia di spese di giustizia e gratuito patrocinio, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 106-bis del Dpr n. 115 del 2002

La Consulta con la sentenza n. 178 depositata il 13 luglio 2017 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 106-bis del Dpr n. 115 del 2002, in materia di spese di giustizia, nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo dei compensi dei consulenti, nominati dalla parte ammessa al gratuito patrocinio, in virtù di quanto previsto dalla legge Finanziaria del 2014 per esigenze di contenimento della spesa, sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 del d.p.r. n. 115 del 2002.
Si tratta di un provvedimento molto atteso, in virtù del fatto che nel 2015 la Suprema Corte con la sentenza n. 192, per gli stessi motivi, aveva bocciato il taglio dei compensi spettanti agli ausiliari del magistrato, sostenendo che il Legislatore, nel decidere “un significativo e drastico intervento di riduzione” dei compensi, non poteva prescindere dal fatto che ci si trovasse dinanzi ad emolumenti che, ex art. 54 del Dpr n. 115 del 2002, avrebbero dovuto essere rivalutati triennalmente.
Gli emolumenti, invece, non erano stati adeguati da oltre un decennio, e per tale motivo le tariffe erano ormai sproporzionate per difetto.
Tanto induceva i giudici a ritenere che la scelta del legislatore aveva superato il limite della manifesta irragionevolezza.
Un caso analogo, riferito ai consulenti tecnici di parte, è stato sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale dal Tribunale di Grosseto, che tra i motivi di ricorso ha anche inserito quello relativo alla violazione dell’art. 3 Cost. proprio in base alla su citata sentenza n. 192 del 2015.
Infatti, secondo il rimettente, la riduzione di un terzo dei compensi penalizzerebbe il consulente tecnico di parte rispetto all’ausiliario del magistrato.
Tale argomento è stato apprezzato dalla Corte Costituzionale che ha sottolineato il fatto che le tabelle risalissero a 15 anni addietro e da allora non sono state più aggiornate.
In questo ambito è intervenuto l’art. 1, comma 606, lett. b), della legge n. 147 del 2013, che ha inserito nel d.p.r. n. 115 del 2002 la disposizione censurata (art. 106-bis) la quale ha previsto il taglio di un terzo dei compensi spettanti “al difensore, all’ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all’investigatore privato autorizzato, nominati in un processo penale in cui la parte sia ammessa al patrocinio a spese dello Stato”.
Prosegue la sentenza ritenendo che la dichiarazione di illegittimità per gli ausiliari del giudice, non ha censurato direttamente l’obbiettivo di contenimento della spesa pubblica ed ha soprattutto sottolineato la sua irragionevolezza, “nella misura in cui la riduzione interviene su tabelle ormai non più aggiornate da lungo tempo e i cui valori di partenza – rispetto alle comuni tariffe professionali – già scontano la diminuzione derivante dalla natura pubblicistica della prestazione richiesta all’ausiliario del magistrato. Il che equivale a riconoscere che tale riduzione tornerebbe ad applicarsi se le tariffe venissero aggiornate a norma dell’art. 54 del d.p.r. n. 115 del 2002”.
Questa essendo la ratio decidendi della sentenza, la stessa non può non estendersi agli onorari del consulente tecnico di parte, poiché anche con riferimento ai compensi di quest’ultimo secondo la Consulta va confermata la valutazione di irragionevolezza di un intervento del legislatore che non ha tenuto conto né del contesto normativo nel quale è stato disposto, né delle condizioni che di fatto caratterizzano la materia ed il settore sui quali è operato l’intervento stesso.
L’illegittimità costituzionale per irragionevolezza accertata dalla Consulta illumina anche la lesione, da parte della disposizione censurata, dell’art. 24 Cost., che garantisce il diritto inviolabile di difesa e che impone allo Stato di assicurarlo anche ai non abbienti.
Infatti, una delle ricadute di sistema prodotte dall’irragionevole decurtazione censurata, potrebbe essere quella di allontanare i soggetti dotati delle migliori professionalità, tanto più che, come messo in evidenza dalla sentenza n. 192 del 2015, mentre l’ausiliario del magistrato rende prestazioni non rifiutabili (art. 221 c.p.c.), sul consulente di parte non grava tale obbligo.
Inoltre, a differenza degli onorari della parte privata, quelli del consulente nominato dal pubblico ministero non subiscono la riduzione di un terzo prevista dalla disposizione censurata.
E se il pubblico ministero può scegliere il proprio consulente tecnico senza che questi possa rifiutare l’incarico, nè subire riduzioni dei suoi compensi, da tanto discende, nell’ambito di un rito di tipo accusatorio, una percepibile disparità di trattamento tra le parti del processo penale, in tutti i casi in cui nel processo sia coinvolta una parte sprovvista di mezzi e ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Ed infatti, avremmo la parte pubblica, che può avvalersi dell’ausilio di esperti nei più svariati settori della scienza e della tecnica, senza la censurata limitazione in ordine agli onorari, mentre quella privata, può sentirsi opporre un netto rifiuto, giustificato dalla prevedibile esiguità del compenso.
Appare evidente che tale disparità di condizioni finisce irrimediabilmente per ledere il diritto di difesa.

Avv. Maria Teresa De Luca

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