Ancora una controversia tra un consumatore, presunta vittima di una truffa effettuata attraverso accessi hacker alla propria linea di connessione, e Telecom Italia S.p.A.

Questa volta la domanda attorea era rivolta ad accertare la non debenza delle somme indicate in due fatture inviate al ricorrente dalla società di telecomunicazioni, nonché l’immediato ripristino della linea telefonica e la condanna della prima al risarcimento dei danni causati dall’illegittimo distacco della rete di connessione. Nella specie, la ricorrente contestava gli eccessivi addebiti per le connessioni ad internet, asserendo che dietro vi fosse l’opera di alcuni hacker.

In primo grado, il giudice di pace adito aveva accolto la domanda attorea, condannando la convenuta a disporre l’immediato ripristino della linea telefonica e a corrispondere all’attrice la somma di 4.500,00 euro a titolo di risarcimento dei danni, oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali.

Telecom impugnava la decisione rivolgendosi al Tribunale di Reggio Calabria che, con sentenza del 2017, ribaltava la soluzione adottata dal primo giudice, condannando l’utente alla refusione di tutte le spese di lite, relative ad entrambi i gradi di giudizio, sostenute da Telecom.

La vicenda finiva così dinanzi ai giudici della Suprema Corte di Cassazione.

Secondo la ricorrente la decisione impugnata sarebbe stata viziata dall’errore commesso dal Tribunale per non aver tenuto in debita considerazione tutto il corredo probatorio prodotto a supporto della propria richiesta (prove documentali e testimoniali, la denuncia alla polizia postale) e dal quale sarebbe stato possibile evincere l’erroneo addebito dei consumi telefonici.

Dall’altra parte,  Telecom Italia non aveva neppure allegato i tabulati comprovanti gli effettivi consumi effettuati dalla propria rete di connessione.

La donna, inoltre, lamentava il fatto che la predetta società, titolare del servizio, avrebbe dovuto tempestivamente informarla dell’improvvisa impennata dei consumi, anziché attendere il termine del periodo di fatturazione, consentendole così di intervenire prima che il sommarsi delle spese raggiungesse un importo così elevato; o al più avrebbe potuto sospendere precauzionalmente il servizio e, data la sua consapevolezza della possibile provenienza illecita del traffico anomalo, avrebbe dovuto adottare iniziative di tipo cautelare per non incorrere nei reati di ricettazione in relazione alla frode informatica, di omessa denuncia della notizia di reato da parte di un incaricato di pubblico servizio.

I motivi sopra esposti non hanno però convinto i giudici della Cassazione, che hanno respinto il ricorso.

La decisione invocata, infatti, aveva ritenuto che, a fronte di una presunzione di corretta contabilizzazione dei costi, spettasse al cliente fornire la prova, anche per presunzioni della ricorrenza di elementi, logici e tecnici, in ordine al possibile intervento di fattori anomali, idonei ad inficiare e annullare la garanzia di corretta contabilizzazione.

A tal fine il cliente avrebbe dovuto provare di aver esercito con diligenza la custodia dell’impianto e di aver, quindi, adottato le cautele atte ad impedire che soggetti, non autorizzati oppure autorizzati, potessero fare uso anomalo o illecito degli apparecchi.

Avrebbe dovuto, altresì, offrire elementi indiziari sicuri e tali da far ragionevolmente presumere la probabile inesattezza delle rilevazioni fatte del contatore, per inefficienza tecnica degli impianti esterni o per azione di terzi o per altri fattori.

Tantomeno poteva dirsi prova presuntiva idonea ad ottenere una pronuncia favorevole, la circostanza della omessa esibizione da parte del gestore telefonico dei tabulati analitici contenenti il dettaglio dei siti visitati.

La redazione giuridica

 

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