I genitori affidatari del minore non sono legittimati a chiedere al giudice l’adozione di provvedimenti de potestate nei confronti della madre naturale

La vicenda

Nel febbraio del 2010 il Tribunale di Roma aveva dichiarato la sospensione della responsabilità genitoriale di due genitori nei confronti del loro figlio minorenne e aveva rilevato la necessità di affidare quest’ultimo ad una coppia da identificare.

Nello stesso provvedimento, il giudice aveva nominato una tutrice provvisoria alla quale, successivamente, veniva affidato il bambino.

Nel 2014 il Tribunale di Roma disponeva l’affidamento del minore presso due coniugi; gli stessi che un anno dopo presentavano richiesta di adozione speciale ai sensi dell’art. 44 della legge n. 184/1983; istanza, che tuttavia, veniva rigettata a causa del mancato assenso della madre naturale. Al contrario, in quell’occasione, il giudice disponeva le modalità per un graduale ripristino dei rapporti madre-figlio.

I due coniugi affidatari, presentavano allora, un ricorso urgente con il quale chiedevano di sospendere gli incontri tra i due e di prorogare sine die l’affidamento etero familiare prossimo a giungere a termine; nonché di valutare i comportamenti della madre biologica e di assumere i “provvedimenti convenienti” nell’interesse del minore.

Nel 2017 il Tribunale per i minorenni capitolino dichiarava decaduta la madre dalla potestà genitoriale, nominava quale tutore provvisorio del minore il Sindaco e confermava il collocamento di quest’ultimo presso i due coniugi già affidatari.

Ma a seguito del reclamo proposto dalla madre del bambino, la Corte d’appello di Roma revocava sia la pronuncia di decadenza della stessa dalla responsabilità genitoriale, che la nomina del sindaco quale tutore del minore e disponeva che il servizio sociale competente avviasse i percorsi di sostegno al minore e alla madre, al fine di favorire il ripristino dei loro rapporti.

La pronuncia della Cassazione

La decisione è stata confermata dai giudici della Cassazione (sentenza n. 18542/2019).

Ebbene, si legge nella sentenza che premesso che, a norma dell’art. 336 c.c. “ i provvedimenti indicati in tema di decadenza della responsabilità genitoriale sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero”, i predetti coniugi non erano legittimati a chiedere al Tribunale l’adozione di provvedimenti de potestate nei confronti della madre del minore, non essendo parenti ma affidatari dello stesso, o più correttamente, collocatari richiedenti la proroga dell’affidamento sine die.

Altri soggetti interessati, tra i quali anche gli affidatari, possono rivolgere al pubblico ministero segnalazioni e richieste perché attivi il procedimento de potestate, ma non sono legittimati ad agire direttamente né, di conseguenza, a proporre motivi di impugnazione avverso le relative statuizioni.

L’art. 5, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184, – proseguono gli Ermellini – nel testo sostituito dalla legge n. 173/2015 ha previsto che gli affidatari devono essere convocati, a pena di nullità, anche nei procedimento in materia di responsabilità genitoriale, ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell’interesse del minore, ma non ha attribuito ad essi la qualità di parte formale, non avendo inciso sulla previsione contenuta nella norma speciale di cui all’art. 336 c.c. che, individuando i soggetti legittimati ad agire in materia, è insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica.

I coniugi ricorrenti erano, invece, legittimati a proporre impugnazione contro il provvedimento del giudice di merito che aveva omesso di sentire il minore, come era stato richiesto nel giudizio di primo grado e in sede di reclamo.

La redazione giuridica

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