E’ un accorato appello che mi sento di fare e che mi sta indirizzando alla costruzione di corsi di formazione specifica di Metodologia operativa Medico Legale a finalità “terapeutica”. 

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Che significa tutto questo? Purtroppo per il sottoscritto significa troppo. La medicina legale sembra essere per i medici ciò che la “tecnologia” è per gli anziani: un nemico da combattere! Amen, direbbe un buon sacerdote o un buon Cristiano. Mi son sempre domandato se i colleghi conoscono la cultura del medico legale e su cosa si basano i suoi studi, eppure nel contempo ricordo che la medicina legale è una materia del corso di laurea di Medicina.

Tutto quanto premesso mi nasce spontaneo non solo dalla esperienza che ho acquisito occupandomi prevalentemente del contenzioso medico legale, ma soprattutto dalla lettura di quanto riferito dal collega Campli sulle pagine di Quotidiano Sanità ove egli commenta un mio articolo apparso sullo stesso quotidiano e dove manifesta piena avversità nei confronti miei e dei medici legali in genere e dell’Associazione che rappresento a motivo dell’assistenza gratuita al cittadino danneggiato (dimenticando che il medico è un cittadino e che il gruppo forense dell’Accademia difende anche i medici accusati).

In verità oltre a riferire fatti errati (evidenti se si legge il mio articolo e si confronta con quanto riportato nel suo: “Scambiare l’auspicio di poter lavorare con serenità e tranquillità per un desiderio di “impunità” è grottesco, e conferma ai miei occhi quanto i medici legali siano molto meno “medici” e più “legali“, ovvero che colgano un aspetto parziale della situazione, da un punto di vista, lo stesso degli avvocati, che forse non è il più adatto a farsi un quadro complessivo della realtà”) il collega evidenzia la scarsa conoscenza del concetto di complicanza in senso giuridico e medico legale ed ecco perché sono sempre più convinto che TUTTI i medici debbano stimare di più i medici legali e non odiarli, affiancarli e non allontanarli.

Adesso per sentito dovere di chiarezza mi preme precisare a tutti i colleghi (ahimè anch’io sono un “collega”!) che per evitare il contenzioso medico legale debbono:

  • Parlare molto di più con i pazienti;
  • Conoscere il concetto dell’onere della prova.

Facendo tesoro di questi due consigli sono certo che eviterebbero i 2/3 dei contenziosi. Ritornando al concetto di “complicanza”, se da un lato si ritiene inutile ricordare che il sottoscritto ne parlava nelle proprie perizie già nel 2005, dall’altro si vuole riportare un estratto della sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Rel. Marco Rossetti) dello scorso 30 Giugno: “V’è solo da aggiungere come al medico convenuto in un giudizio di responsabilità non basta, per superare la presunzione posta a suo carico dall’art. 1218 c.c., dimostrare che l’evento dannoso per il paziente rientri astrattamente nel novero di quelle che nel lessico clinico vengono chiamate “complicanze”, rilevate dalla statistica sanitaria. 

Col lemma “complicanza”, la medicina clinica e la medicina legale (io aggiungo: non la medicina legale dell’Accademia che rappresento) designano solitamente un evento dannoso, insorto nel corso dell’iter terapeutico, che pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe evitabile. Tale concetto è inutile nel campo giuridico. Quando, infatti, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l’una: 

o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”; 

ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile: ed in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”. 

Al diritto non interessa se l’evento dannoso non voluto dal medico rientri o no nella classificazione clinica delle complicanze: interessa solo se quell’evento integri gli estremi della “causa non imputabile“: ma è evidente che tale accertamento va compiuto in concreto e non in astratto. 

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La circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come “complicanza” non basta a farne di per sè una “causa non imputabile” ai sensi dell’art. 1218 c.c.; così come, all’opposto, eventi non qualificabili come complicanze possono teoricamente costituire casi fortuiti che escludono la colpa del medico. Da quanto esposto consegue, sul piano della prova, che nel giudizio di responsabilità tra paziente e medico: 

– o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme alle leges artis, ed allora egli va esente da responsabilità a nulla rilevando che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle “complicanze”; 

– ovvero, all’opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla: ed allora non gli gioverà la circostanza che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile ed inevitabile, giacchè quel che rileva è se era prevedibile ed evitabile nel caso concreto. Prevedibilità ed evitabilità del caso concreto che, per quanto detto, è onere del medico dimostrare.” 

Adesso se quanto scritto in sentenza lo confrontiamo con quanto affermato dal collega Campli (al quale comunque ho chiesto amicizia su Facebook in segno di simpatia e dovuta stima), ossia “La cosa che più mi meraviglia è che al Dott. Galipò non dovrebbero essere ignoti i numeri del contenzioso medico-paziente: se solo una minima frazione dei chirurghi colpiti da avviso di garanzia viene poi chiamata in giudizio ed infine condannata, si dovrebbe comprendere facilmente che i chirurghi non chiedono l’impunità: i chirurghi non vogliono sottrarsi al giudizio, ma vogliono essere giudicati se (e solo se) sbagliano.

Le complicanze di un atto chirurgico esistono, e spesso si manifestano indipendentemente dall’operato del chirurgo, anzi, si verificano nonostante il chirurgo abbia fatto tutto quello che umanamente si poteva fare per guarire il malato. Io non voglio essere giudicato per le complicanze, ma solo per i miei errori, e questo non significa augurarsi di diventare “impunibile“, si può ben comprendere come il concetto di onere della prova e di complicanza non siano conosciuti dal Campli. Ecco mi preme consigliare non solo al dr. Campli, ma a tutti i medici, che la medicina legale è quella materia che se ben recepita dal clinico fa lavorare meglio in termini di serenità e usura psico-fisica.

Prima di concludere vorrei ricordare come l’Accademia della Medicina Legale è associazione forense costituita da medici legale, medici specialisti in tutte le branche mediche, psicologi, avvocati e associazione “Pro.Medici” in quanto l’obiettivo è servire il cittadino danneggiato sia esso paziente che medico, sia esso condomino, che minore danneggiato dalla negligenza e dallo scarso amore dei genitori. Insomma è una associazione per tutti e non una becera equipe di avvoltoi così come dicono molti medici che vorrebbero divenire una casta di impunibili!

Dr. Carmelo Galipò

Pres. Accademia della Medicina Legale

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8 Commenti

  1. Caro Carmine,
    in un certo senso la tua replica è una sorta di “autogol”, ed una ulteriore conferma per me di quanto siano distanti i nostri punti di vista da “chirurgo” e da “medico legale”. La tua lezioncina (non intendere questo termine in senso dispregiativo) sul concetto di “complicanza” da un punto di vista giuridico può essere interessante per l’occasionale lettore del tuo sito, ma non mi dice nulla che io già non sappia. Che ho scritto io? Che in caso di complicanza, poichè in Italia la responsabilità penale è personale, automaticamente un medico legale addita al giudice l’operato del chirurgo come causa della complicanza stessa. E’ proprio questo il punto che fa imbestialire me e qualsiasi altro chirurgo.
    Tu, medico legale, conosci ed accetti pacificamente questo concetto. Io, chirurgo, lo conosco tanto bene quanto te, ma questo non me lo rende “accettabile” o “giusto”. Quando mi sono laureato io a Medicina Legale ci insegnavano che il chirurgo contrae una obbligazione di mezzi, non di risultato. Questo ci sembrava giusto: troppe cose sono al di là delle nostre possibilità di controllo, ma già allora era disturbante che l’operatore venisse chiamato a rispondere per qualsiasi disfunzione della camera operatoria (errori del ferrista, dell’infermiere di sala, dell’anestesista, della sterilizzatrice… etc. etc.). La situazione era temperata nella realtà da una condizione di grande rispetto per il medico, che limitava alquanto il ricorso al giudice.
    Oggi siamo in una situazione di litigiosità in crescita esponenziale (per la quale, non me ne volere, ascrivo parte della colpa a imponenti campagne pubblicitarie come quella di Obiettivo Risarcimento, e al proliferare di “offerte gratuite” di assistenza e patrocinio come è facile constatare: digitando le parole “malasanità” e “risarcimento” su Google, in 0,46 secondi si ottengono circa 109.000 risultati, che ti invito a scorrere); e in questa situazione di facile ricorso al contenzioso e di aspettative irrealistiche del pubblico rispetto all’efficacia “magica” della medicina scientifica moderna, accade che qualunque evento avverso che può manifestarsi nel decorso di una patologia viene automaticamente ascritto alla responsabilità del medico, fino a prova contraria.
    Tu ti muovi nell’ambito della legge vigente, correttamente, e non posso pretendere che i tuoi comportamenti e le tue scelte non siano guidati e indirizzati dall’attuale quadro normativo. Ma, ti prego, lasciami la facoltà di dubitare che nel migliore dei mondi possibili l’attuale definizione giuridica di “complicanza chirurgica” troverebbe spazio. Lo ripeto, pretendo di essere giudicato per i MIEI errori, non per le complicanze, perchè rifiuto l’automatismo che attribuisce sempre al mio operato qualunque danno patito dal paziente, avendo come unica possibilità di salvezza l’impossibile dimostrazione nel concreto che quel danno non era prevedibile o evitabile.
    Questo non è un pensiero esclusivamente mio, anche altri colleghi, che chirurghi non sono, hanno espresso qualche perplessità in proposito (vedi il commento di Piersante Sestini su Facebook a questo stesso tuo articolo).
    E’ una questione abbastanza seria da aver svuotato le scuole di specializzazione in chirurgia, e sarà interessante vedere cosa succederà in futuro, quando mancheranno i nuovi chirurghi e il nostro paese con la sua normativa non avrà alcun appeal per attirare professionisti dall’estero ad esercitare la chirurgia in Italia…
    E’ una questione abbastanza seria da aver determinato la pratica comune della medicina difensiva, meglio ancora, della medicina dell’osservanza giuridica (Hai un mal di testa? E’ necessario prescrivere una angiorisonanza cerebrale, perchè se domani il paziente muore per una rottura di aneurisma cerebrale il giudice ti condannerà dopo aver chiesto al perito di turno “questa morte era IMPREVEDIBILE ed INEVITABILE?”), meglio ancora, della medicina omissiva, perchè oggi di fronte ai casi difficili i chirurghi si tirano indietro (“non c’è niente da fare…”, “intervenire significa condannare il paziente a morte certa…”, “operare questa persona significa caricarla di tutto il dolore e la sofferenza dell’intervento chirurgico senza nessuna garanzia di guarigione…” etc. etc.) privando così molti cittadini di qualunque chance.
    Ma, soprattutto, è una questione tanto opinabile da aver suscitato dubbi anche in persone di formazione giuridica, che hanno ritenuto di fare proposte per cambiare questo stato di cose, senza per questo invocare impunibilità di casta o simili altre piacevolezze.
    Se l’Italia è l’unico dei paesi cosiddetti civili nel quale il chirurgo è condannabile penalmente, io non me ne farei un motivo di vanto…
    P.S. Io parlo moltissimo con i miei pazienti, e non per evitare il contenzioso medico legale, da una vita faccio divulgazione (e chi ha frequentato in passato il newsgroup it.scienza.medicina lo sa benissimo) e posso tranquillamente dirti che non serve a nulla, perchè puoi avere il miglior rapporto del mondo con il tuo paziente, ma se lui muore sono i suoi eredi che ti denunciano…

    • Caro Mario, il mio articolo non rappresenta un autogol e questa tua affermazione conferma quanto i medici hanno bisogno di approfondimenti medico legali. Essere additato di responsabilità significa aver provato (da chi ti accusa) gli elementi della colpa sia in penale che in civile. Quindi niente di strano, come nulla di strano è la libertà di un paziente di richiedere un risarcimento ad un medico o ad una struttura se vede peggiorate le sue condizioni fisiche, come non è strana la libertà di un medico di richiedere i danni al paziente che temerariamente ha chiesto al medico un risarcimento o di controquerelarlo. Fin qui nulla di strano a mio avviso.
      A riguardo dell’obbligazione di mezzi che si richiedeva al medico, oggi non sembra mutato nulla perchè il medico che deve risarcire il paziente è solo quello che non ha adempiuto correttamente l’incarico ricevuto dal paziente (ossia la cura). Quindi non è cambiato alcunchè nella responsabilità sanitaria e discorso a parte è la chirurgia plastica a fini estetici come già scritto sulle pagine di questo quotidiano che mi pregio di dirigere.
      Io concordo che il rapporto medico paziente sia peggiorato ma le cause di questo peggioramento credimi non sono da addebitare esclusivamente alle campagne pubblicitarie ma molto più alla diminuita professionalità e competenza di una buona percentuali di medici (e ciò lo dimostra come specialisti della stessa branca si accusano senza vergognarsene) e al diminuito rispetto verso la sofferenza del malato (che poi si ribella).
      Ritornando alla complicanza/evento avverso condivido il tuo pensiero quando dici che ogni complicanza non è attribuibile acriticamente all’operato del medico, ma non puoi pretendere che al paziente non ben informato non possa venire il dubbio che dipenda da un errore. La complicanza è attribuibile all’errore medico quando quest’ultimo non dimostra il contrario. E questa regola giuridica non la vedo ingiusta in quanto il medico ha l’onere di provare che ha fatto tutto bene per il sol fatto che è più capace del paziente a giudicare un proprio comportamento terapeutico (concetto della vicinanza della prova). E ritengo che tu non dica bene quando affermi che devi provare l’improbabile per discolparti, perchè è opinione comune (tra colleghi) che il medico sa sempre quando sbaglia o quando poteva agire diversamente per avere più chance di riuscita.
      E’ quest’ultimo concetto che deve plasmare l’azione del medico specie nell’adempiere a quel dovere di diligenza nel compilare la cartella clinica. Quest’ultima rappresenta la vera arma del medico per provare i fatti (e quindi la vera difesa): ogni atto medico va motivato in cartella affinchè sia chiaro a chiunque il percorso logico dell’atto terapeutico e quindi chiunque potrà, ex post, ricostruire i fatti in senso di determinazione del rapporto rischio/benefici dell’atto medico. Ecco cos’è la best practice, un concetto più adeguato della linea guida e al quale si riferiva la legge balduzzi.
      Auspico un incontro con te in quanto la nostra “Accademia della Medicina Legale” ha progetti fondamentali per tutti i cittadini (medici e pazienti) e offre una consulenza professionale e gratuita anche ai medici e non solo ai pazienti. E a Gennaio tutti i lettori di “Responsabile Civile” leggeranno come può divenire equo il contenzioso medico legale quando si hanno armi uguali e si ricerca la verità: gli speculatori tremeranno e i temerari cesseranno di esistere.
      Cari Saluti

  2. Dissento (peraltro da tempo) con l’idea di Mario Campli che la relazione col paziente (e con i possibili eredi) non serva a ridurre il contenzioso medico-legale. Certo, non ha una valenza processuale e non mette “tecnicamente” al sicuro dal contenzioso. Però esiste abbondante letteratura ed annedotica che mostra che sia l’unico vero strumento in grado di ridurre il contenzioso. Contrariamente a quello che comunemente vedo scritto, la “molla” che spinge le vittime di eventi avversi indesiderati nelle mani di avvocati spesso senza scrupoli non è quasi mai l’avidità di denaro. E’ quasi sempre il desiderio di rivalsa per una offesa che ritengono di avere subito. E questo non riguarda tanto le informazioni che vengono date, quanto il modo in cui si è svolta la relazione. Troppo spesso il medico “scompare” letteralmente o appare reticente, comportamenti che, indipendentemente dai fatti, vengono interpretati come segni di colpevolezza. La presenza, l’esprimere dispiacere, l’assicurazione di una credibile revisione dell’accaduto che metta in evidenza evantuali responsabilità e assicuri che casi simili non si ripetano è spesso un modo elementare non solo di ridurre il contenzioso legale, ma soprattutto di lenire una ferita e una sofferenza in chi ha comunque subito un danno o una perdita e che vi si sommano. Si tratta di abbandonare la comune strategia “nega e difendi” a favore di una di full disclosure e di apertura e riconoscimento verso chi ha subito un danno, fatale o colpevole che sia. E funziona! https://law.wustl.edu/Faculty_Profiles/Documents/haley/SeminarPapers/JillLJoerling.pdf
    Non sono nemmeno del tutto certo che la riduzione di vocazioni chirurgiche sia tutta da imputare allla paura del contenzioso medico legale: se così fosse, la crisi dovrebbe essere più acuta per ginecologi e ortopedici, che ne hanno il triste primato. Sospetto che abbia in gran parte origine nella progressiva femminilizzazione della professione medica: non ho dati per sostenerlo, ma neppure chi avanza l’altra ipotesi mi pare che ne porti. Sul resto, condivido.

  3. Buonasera, ho seguito il dibattito in discorso con vivissimo interesse perchè in esso sono racchiuse le due anime della attuale situazione riguardante la responsabilità medica.
    Sono avvocato e non medico, per scelta sono specializzato nella difesa dei medici e delle strutture sanitarie (sono Presidente di una associazione che tutela i medici, la Pro.Medici) e, nonostante ogni giorno produca ettolitri di bile leggendo citazioni o querele che ricevono i miei clienti, vuoi per la loro fantasiosità che per la loro infondatezza, nonostante ogni giorno legga consulenze di parte che farebbero da miglior sfondo ad un copione teatrale che ad una disquisizione medico scientifica, non mi sento di concordare in pieno con il Dott. Campli, nè con il Dott. Galipò.
    Come spesso accade la verità si trova nel mezzo, e per raggiungerla con conseguente giovamento di tutti (nessuno escluso), l’unica via possibile è quella del dialogo e della conoscenza.
    Dialogo fra i medici, fra i reparti, fra le equipè, fra i vari ruoli professionali che concorrono all’assistenza del paziente ricoverato, DIALOGO CON IL PAZIENTE E CON CHI LO SEGUE E CIRCONDA… Conoscenza delle buone pratiche (non solo mediche ma anche giuridiche), dei protocolli, del risk managing, della medicina legale per gli specialisti e della clinica per i medici legali.
    Se è vero che spesso resto basito dinnanzi alla disinvoltura di alcuni pazienti e dei loro legali, è altrettanto vero che a volte resto disarmato dinnanzi alla poca cura rispetto alla compilazione della documentazione clinica, se è vero che ci sono medici (specialisti e medici legali) che comunque avallano a priori il comportamento di codesti pazienti e avvocati asseverando le loro lamentele con perizie firmate, e altrettanto vero che esistono picchi di approssimazione che non dovrebbero esservi.
    Le cause di ciò sono quantomai varie e, da ultimo, va in esse ricompresa la situazione deficitaria dal punto di vista organico e strutturale della nostra sanità… ci è voluta la Comunità Europea per farci rendere conto che turni da 36 ore erano paragonabili alla schiavitù!
    Tuttavia, nonostante il lavoro che faccio, concordo sul fatto che non debbano esserci spinte corporativistiche nella categoria dei medici. Il chiedere a gran voce provvedimenti di tutela ad hoc, eliminazione di casi di responsabilità, codificazione di regole volte alla non imputabilità, altro non produrrebbe (anche se così non è) che far percepire all’esterno la creazione di una nuova casta.
    Il medico, così, passerebbe ad essere additato ed incolpato non solo per il suo agire, ma per ciò che rischia di rappresentare. Alla voglia di vedersi ristorati per la presunta violazione di un proprio diritto, si aggiungerebbe la voglia di rivalsa fine a se stessa. Questo sarebbe ancora più nefasto.
    E’ comunque vero, come dice spesso un professore di chirurgia che mi pregio di avere per amico, che se un soggetto va dal medico è perchè sta male. Perchè qualcosa in lui non va a prescindere dall’agire di qualcuno. Pretendere, come spesso si fa nei tribunali e nelle corti, che il medico sfoderi poteri taumaturgici è una cosa assurda che altro non può creare che ulteriori danni e ingiustizie.
    Del pari, pretendere scrupolo, umanità, abnegazione, passione è un atteggiamento dovuto e condivisibile stante il ruolo meraviglioso che lo stesso medico ha… il medico è colui che ha la conoscenza per curare, guarire, lenire, migliorare, salvare la vita di un’altra persona. Esiste ruolo più meraviglioso di questo?
    Chiudo con una chiosa prettamente giuridica. La corretta lettura che un giudice può avere di una complicanza, passa attraverso la corretta rappresentazione dei fatti. Infatti, è vero che non tutto si può prevedere, è vero che alcuni interventi portano con sè una percentuale di rischi, è vero che a volte nonostante tutto il corpo di un soggetto reagisce male ad un trattamento (non siamo robot ma organismi viventi tutti diversi fra loro), è ingiusto (perchè lo è) essere accusati e spesso condannati a pagare sempre e comunque. Tuttavia, nessun giudice potrà condannare un medico che abbia dinnanzi a tali avversità messo in campo tutta la sua bravura, la sua preparazione e la sua passione per tentare di limitare gli effetti della complicanza stessa. Quant’anche non vi si riuscisse, ad un uomo non potrebbe essere chiesto nulla di più, altrimenti saremmo tutti Dei e tutti immortali!
    Mi auguro di avere occasione di potermi confrontare con voi personalmente e più diffusamente nella speranza, nel mentre, di non essermi dilungato troppo.
    Buona serata.
    Gianluca Mari

    • Caro Gianluca non si può che darti ragione, ma fino ad un certo punto, ossia fino a quando parli di complicanze inevitabili e poi trattate bene ma senza successo. Quando esiste una complicanza evitabile esiste “ex se” la responsabilità di chi non l’ha evitata e quindi la colpa. La medicina non è un mestiere per maghi ma per professionisti che studiano per anni e si aggiornano continuamente, quindi per un medico specialista di spessore (che è debitore qualificato) tutto è routine e quindi mi sembra ovvio che il paziente pretenda il miglioramento o la guarigione clinica dal suo operato. La responsabilità esiste se si possono ravvisare gli elementi della colpa e non solo per non essere riuscito a “raddrizzare” una complicanza, ma anche per non essere riuscito ad evitarla ove esistevano i modi per farlo. Il resto sono chiacchiere e giustificazioni di un professionista che sbaglia: certo che se un pilota di aereo per errore precipita e ammazza duecento persone e si risale al fatto che prima di SCHIANTARSI al suolo ha fatto tutto quanto poteva fare per evitarlo, non penso che i familiari delle vittime possano giustificarlo, forse perdonarlo, ma il risarcimento non può essere evitato.
      E’ sempre un piacere contraddirla con serenità e passione.
      Carmelo Galipò

  4. ” La responsabilità esiste se si possono ravvisare gli elementi della colpa e non solo per non essere riuscito a “raddrizzare” una complicanza, ma anche per non essere riuscito ad evitarla ove esistevano i modi per farlo. ”
    In questa frase è racchiuso ciò che dico e che, evidentemente Tu stesso confermi.
    Se una complicanza poteva essere evitata e non è stato fatto, non credo ci siano dubbi su una eventuale responsabilità; se la stessa complicanza non è stata causata e/o nonostante il miglior procedere per evitarla a priori (che altro non significa che aver preso tutte le precauzioni a disposizione), si è prodotta lo stesso, non v’è responsabilità alcuna.
    Condivido il piacere del contraddittorio sempre vivo e sempre sereno.
    Gianluca Mari

  5. Da tradurre se possibile dal napoletano.
    ’A RICONOSCENZA
    Pure si le tagli ’o pietto
    e le cagn’ tutto ’o core,
    nun te n’ aspetta’ rispetto,
    spera sulo ca nun more.
    Si ’o ventricolo ’mpazzisce
    e se ne và in fibrillazione,
    che ne sanno? Chi ’o capisce
    si t’ha fai dint’ ’o cazone?
    Si ’o malato s’è shockato
    e già stava pronta ’a Morte,
    quann’ ’a fine s’è salvato:
    tutt’ ’o merito è d’ ’a sorte.
    Si se spegne ’o lumicino
    pecchè ’a vita è nata corta,
    nun è colpa d’ ’o destino
    che teneva areto ’a porta;
    “chella ’a colpa è d’ ’o duttore,
    che sicuro s’è sbagliato,
    se ci stava ’o Professore,
    certo, mò, s’era salvato”.
    Tutto chello ca tu fai
    ’n’ è servuto proprio a niente,
    “nun ha’ fatto mai assaje”
    chesto penza sempe ’a gente.
    Che vuo’ fa’? Chisto è ’o mestiere!
    Ce l’avimmo già ’mparato,
    nun guastammece ’e pensier’,
    faticammo….. p’ ’o Malato.

    • Molto carina, complimenti! Si è pensiero frequente, ma ricordo che se la morte è evitabile il medico deve fare di tutto in scienza e coscienza per evitarla, il resto rimane a carico del nostro Padre Celeste

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