Ibridi biorobotici e diritti fondamentali. L’etica nel transumanesimo: introduzione

Una “moda” molto attuale – dovuta all’evoluzione tecnologica – è parlare di robot e delle loro conseguenze pratiche, sociologiche e giuridiche sulla società del futuro. Ma errore comune è pensare ad una materia senza contestualizzarla.

Ciò significa che quando si affronta uno studio, bisogna sforzarsi di proiettare contenuti correlati e creare uno scenario nel quale collocare il fenomeno.

Così, una plausibile e non lontana correlazione si potrà avere fra robot e umani ibridi: ossia quei soggetti che avranno una percentuale di “non biologicità” nel proprio corpo.

La tematica inerisce a tutta una serie di materie, che vanno dalle Neuroscienze all’Antropologia, dalla Sociologia comportamentale al Diritto. Spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma il nostro “corredo” evoluzionistico (che chiamiamo volgarmente istinto) ci condiziona nelle scelte, nei giudizi e nei comportamenti.

Così la scienza ci dice che il giudizio “a prima vista” di un’altra persona si basa su effettivi “dati” che il nostro cervello immagazzina ed analizza, inconsciamente, in frazioni di secondo, dandoci un’impressione. Ma ci dice anche che questo (pre)-giudizio non è quasi mai sbagliato: l’evoluzione si è affinata in milioni di anni per proteggerci dai pericoli. Come funziona il processo è molto affascinante: intervengono odori, movenze, tratti somatici e tanto altro. Ogni caratteristica veicola un’informazione, che il nostro cervello sa elaborare.

Ad esempio le persone sono attratte l’un l’altre sulla base di fattori ormonali e corredi genetici (indipendentemente dal sesso) che siano diversi e si completino. Quest’informazione è veicolata dall’odore. Altri fattori, come carattere, salute, forza, empatia o aggressività sono veicolate dalle nostre caratteristiche somatiche. Forse lo è anche l’intelligenza (o quanto meno i diversi tipi di intelligenza): difatti, grazie all’incrocio fra genetica, tecniche più avanzate di neuroscienze e nuove tecnologie, come il riconoscimento facciale, si stanno in qualche modo rivalutando le teorie lombrosiane.

Tenuto conto di ciò, ogni volta che interveniamo sul nostro corpo modifichiamo queste informazioni. Certamente lavarsi attenua solamente l’effetto odore e truccarsi ed acconciarsi mette in rilievo proprio alcune di queste caratteristiche, ma sono interventi momentanei. La chirurgia estetica è invece permanente.

Gli archeologi del futuro probabilmente troveranno nelle tombe dell’uomo del XXI secolo, tanti strani oggetti assieme ai resti, fatti di silicone, titanio e forse molto altro ancora, come vedremo. La chirurgia estetica interviene infatti sul corpo, mutando irreversibilmente i connotati. Chi ne fa uso, modifica le proprie informazioni somatiche. Da un punto di vista evoluzionistico, le “falsa”. La pratica – che non è di per sé da demonizzare – si presta ad abuso, come molto altro del resto.

Sul piano sociologico, la diffusa pratica porta alle immaginabili conseguenze che il nostro sistema neurologico di “riconoscimento” e “pregiudizio” automatico, viene sfalsato. Così le ripercussioni sociali possono essere molteplici.

In scia, vi sono alcune considerazioni legali. Esse prendono spunto da una notizia – vera o presunta – proveniente dalla Cina: un imprenditore avrebbe chiesto ed ottenuto il divorzio ed un risarcimento di 120.000 euro da parte della moglie, la quale gli avrebbe nascosto di essersi sottoposta a radicali interventi chirurgici e gli avrebbe dato dei figli particolarmente brutti.

Dal punto di vista legale, la cosa involve in realtà l’omertà su di un fatto rilevante ai fini della contrazione del contratto di matrimonio e non sulla chirurgia estetica di per sé, ma è comunque una tematica da cui prendere spunto.

Il tema estetico, però, inerisce al comparto legale su un piano molto più alto e spesso sottovalutato: i diritti fondamentali.

Poter disporre del proprio corpo appartiene infatti ai principi cardine delle costituzioni democratiche e ricomprende una gamma di azioni possibili. La salute però, rientra nei diritti e principi di più alto rango e come tali meritevoli di una tutela straordinaria.

Difatti la disposizione del proprio corpo soggiace a dei limiti (i cui confini, come vedremo, sono labili e difficili da determinare) essendo la salute e l’integrità fisica un diritto “indisponibile” o, più specificatamente, parzialmente disponibile.

Ciò significa che non possiamo decidere in maniera completamente libera cosa fare del nostro corpo, dovendo sottostare ad alcuni divieti. Altri esempi di diritti parzialmente disponibili sono quelli (alcuni) relativi al diritto di famiglia e del lavoro. Diritti totalmente indisponibili sono invece la libertà (non posso diventare schiavo di qualcuno, nemmeno col mio consenso) e della vita (non ho diritto di suicidarmi… da cui il divieto di eutanasia).

Tutto ciò perché il Diritto accorda una tutela speciale ad alcuni beni giuridici, che vengono tutelati non in quanto bene del singolo, ma nella loro concezione di bene sociale. Per questo, nel bilanciamento fra interesse del singolo e interesse collettivo, prevale il secondo quando è necessario proteggere adeguatamente dei beni primari.
In sostanza, il Diritto ci protegge da noi stessi… e non sempre a torto.

Tradotto, significa che posso sottopormi a chirurgia estetica – qualora non comprometta la mia salute – ma non posso farmi tagliare un braccio per estetica. Come detto, i limiti sono labili: per cui posso farmi tagliare un lobo, o la lingua in due (si fa veramente per avere la punta biforcuta), ma non un braccio. Il discrimine sta nel fatto che il braccio è un elemento strutturale della fisiologia umana: tagliarsi il lobo non compromette alcuna funzionalità, tagliarsi il braccio sì.

Ancora, asportarsi un rene compromette alcune funzionalità, ma – in determinate condizioni – è concesso: ad esempio per salvare una vita altrui, ma non è invece permesso a fini di lucro.

Un caso limite potrebbe essere quello di un genitore che voglia donare il proprio cuore per salvare il figlio. In teoria non sarebbe possibile, ma in pratica si trovano due beni primari in conflitto e a seconda dei ragionamenti etico-giuridici, si potrebbe negare o accettare tale possibilità.

Il Diritto di disposizione del corpo assume un ruolo centrale, assieme al principio di eguaglianza, quando si inizia ad interagire con le nuove tecnologie e, specialmente, con la robotica.

Sempre più spesso la tecnologia corre in soccorso di handicap fisici congeniti o dovuti ad incidenti. Le vecchie protesi metalliche, vengono pian piano sostituite da protesi robotiche.

Questo permette a chi le indossa di riacquisire una normalità funzionale, se non una “ultra-normalità”.

Le addizioni robotiche entrano anche nel campo del trapianto di organi e infatti ci sono già numerosi esperimenti di impianto di organi artificiali e la ricerca in questo settore sta facendo passi da gigante. Ci sono già sperimentazioni su organi stampati in 3D con biomateriale compatibile, od organi ibridi, composti da materiale bioartificiale, che si comportano come organi biologici.

Ci sono poi casi eclatanti, che ci servono per comprendere quale sarà il futuro di questo comparto e cosa ci possiamo aspettare. Ma sono utili anche per analizzare i quesiti etici e giuridici che ne derivano, anche se la loro percezione non è così immediata.

Neil Harbisson è uno di questi: lui è il primo cyborg; e “vede” i colori grazie ad un occhio robotico collegato al cervello. Harbisson era un giovane affetto da acromatopsia, ossia l’incapacità di vedere i colori. L’”eyeborg” installato nel suo cranio, gli permette di trasformare i colori in frequenze sonore. Alle immagini che la sua retina trasmette al cervello, l’occhio robotico abbina dei suoni trasmessi per conduzione ossea. Harbisson non ha colmato il suo handicap nel vero senso della parola, ma vi ha abbinato un nuovo senso.

John Matheny invece, perse il braccio sinistro a causa del cancro. Tramite una sezione sperimentale del DARPA (Defence Advanced Research Project Agency), si è sottoposto a numerosi interventi chirurgici per farsi impiantare una protesi robotica sviluppata dal Johns Hopkins Applied Physics Laboratory. La protesi, chiamata Modular Prosthetic Limb, consente a Matheny di fare movimenti che una protesi tradizionale non potrà mai permettere. Tra gli interventi cui si è dovuto sottoporre vi è il TMR (Targeted Muscle Re-enervation), ossia una serie di operazioni che consentono il riutilizzo dei nervi nonostante l’amputazione. Per questo Matheny riesce a muovere il braccio col pensiero, esattamente come si fa con un braccio normale. Il DARPA sta anche sviluppando un prototipo di braccio tattile, che cioè consenta di percepire a livello cerebrale gli stimoli del tatto.

Nigel Ackland poi, perse la mano in un incidente sul lavoro. Sinché la RAL Steeper, società inglese specializzata in robotica, non gli propose la mano bionica “Bebionic”. Oggi Ackland riesce a fare quasi tutto, anche cose che una mano normale non potrebbe fare, come ad esempio roteare a 360° il polso. Dopo il suo esempio, altre 20 persone si sono sottoposte allo stesso intervento; e sono destinate ad aumentare.

Jan Scheuermann, è poi da anni è paralizzata dal collo in giù (tetraplagia). Grazie ad una tecnologia robotica fornita dalla Università di Pittsburgh, è in grado di afferrare e spostare oggetti con sorprendente abilità.  La Scheuermann riesce a controllare il braccio robotico con la mente: il braccio è però esterno e non impiantato nel suo corpo.

L’artista australiano Stelarc, invece, richiama quanto detto in tema di abusi di chirurgia estetica e di protezione da sé stessi: egli si è fatto impiantare un orecchio sul braccio ed intende farlo collegare ad internet, in modo che tutto il mondo possa ascoltare cosa fa in ogni istante… al posto del terzo occhio, ha preferito il terzo orecchio!

Kevin Warwick, professore di cibernetica all’Università di Reading (UK), conduce ricerche nel campo della robotica e delle interfacce uomo-macchina ed è uno strenuo sostenitore dell’ibridazione tra umani e robot, tanto che dal 1991 si è fatto via via impiantare una serie di chip nel corpo, per essere geolocalizzato e poter comunicare con gli strumenti del proprio laboratorio, muovendoli a distanza.

Tutti questi casi ci hanno dimostrato quanto è avanti oggi la tecnologia e, in proiezione, quali sono le sue potenzialità. Se da un lato ci vuole ancora del progresso prima che chi ha una forma di handicap fisico possa colmare la distanza con la normalità grazie agli impianti robotici, dall’altro ci viene dimostrato come già oggi questi stessi impianti possano dare a queste persone alcune facoltà in più che i limiti fisici del corpo umano non consentono. (segue)

Avv. Gianluigi M. Riva

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