Illegittimo il rilascio della certificazione di idoneità medico sportiva da parte del camice bianco convenzionato con l’Asl senza la specifica autorizzazione

Era accusato di aver redatto certificazioni di idoneità medico sportiva in assenza di apposita autorizzazione e con l’utilizzo di carta recante il sigillo contraffatto dell’Ente Regione. L’uomo era stato ritenuto colpevole dei reati ascrittigli sia in primo grado che in appello.

Nel ricorrere per cassazione l’imputato evidenziava l’omissione della doglianza, contenuta nell’atto di appello, concernente l’errore in cui sarebbe incorso. In qualità di medico convenzionato con l’ASL, specializzato in medicina dello sport, aveva ritenuto di essere legittimato al rilascio delle certificazioni pur essendo in attesa della relativa regolarizzazione.

Il ricorrente, inoltre, lamentava l’illogicità della motivazione nella parte in cui gli era stato imputato un reato proprio del pubblico ufficiale e, nel contempo, gli era stata contestata l’assenza di autorizzazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 53717/2018, ha ritenuto inammissibile il ricorso del professionista.

Secondo gli Ermellini i motivi di appello erano aspecifici rispetto all’articolato ordito motivazionale della sentenza di primo grado. L’appellante si era infatti limitato ad addurre, in tale sede, “l’affievolimento o addirittura la mancanza dell’elemento soggettivo”.

Dalla sentenza del Tribunale si evinceva come il ricorrente fosse pienamente consapevole della mancanza dell’autorizzazione, avendola sostanzialmente ammessa nelle dichiarazioni spontanee. Peraltro egli era particolarmente addentro al comparto della Medicina dello Sport ed alla sua regolamentazione.

Di fronte a questo dato, che non era stato adeguatamente avversato dall’appellante, anche il ricorso si presentava del tutto aspecifico, oltre che assertivo. L’impugnazione si limitava, infatti, a prospettare una presunta buonafede, senza che tale assunto fosse sostenuto da osservazioni appropriate.

Il secondo motivo del ricorso, inoltre, muoveva da un presupposto errato, ovvero che l’imputato fosse stato riconosciuto responsabile di un falso quale pubblico ufficiale. Il Tribunale, al contrario, aveva riqualificato l’originaria contestazione mossa ex art. 476 (Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici). Il Giudice aveva riformulato l’ipotesi accusatoria ai sensi degli artt. 476 e 482 del codice penale. Nello specifico, aveva valorizzato la circostanza che il camice bianco non avesse agito nell’ambito di funzioni pubblicistiche, ma come estraneo alla Pubblica Amministrazione. Il tutto adoperando una modulistica contraffatta che mirava a riprodurre quella rilasciata dalla Regione ai medici privati muniti di autorizzazione.

 

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