Al giorno d’oggi, sempre più anziani bisognosi di assistenza fanno uso di contratti atipici di mantenimento, attraverso i quali “acquistano” l’assistenza loro necessaria cedendo in cambio la nuda proprietà del loro appartamento (spesso a un proprio parente).

Tuttavia, tale operazione economica, che dà vita al cd. contratto di mantenimento, come ha ricordato la Corte di Cassazione con la recente sentenza in commento, pretende il rispetto di alcuni requisiti, tra i quali, su tutti, la presenza dell’alea.

Il contratto atipico di mantenimento (non espressamente disciplinato dal codice civile) è, esattamente, quel negozio giuridico con il quale una parte conferisce a un’altra il diritto di esigere, per tutta la sua vita, di essere mantenuta, quale corrispettivo dell’alienazione di un bene immobile o mobile o della cessione di un capitale.

La prestazione oggetto del mantenimento consiste nel garantire alla persona anziana vitto, alloggio, assistenza medica, compagnia, pulizia della casa (e, se necessario, della persona). Insomma, tutto il necessario per poter condurre una vita libera e dignitosa. Il contratto si caratterizza, pertanto, di solito, per l’intuitus personae, perché richiede una sorta di intimità tra le parti –in grado di garantire idonee prestazioni di compagnia e pulizia e, in genere, di assistenza.

Tanto doverosamente premesso, con la sentenza n. 23895 del 23.11.2016, la II Sezione civile della Corte di Cassazione ha fornito alcune precisazioni sull’istituto in parola.

Si erano rivolti al Tribunale di Massa i nipoti di una signora deceduta; costoro avevano convenuto in giudizio i cugini, domandando al Giudice di voler dichiarare la nullità del contratto di mantenimento con il quale la nonna, ancora in vita, aveva ceduto ai cugini la nuda proprietà del proprio immobile, mantenendone l’usufrutto; di contro, i cugini avevano assunto l’obbligo “di assistere e mantenere vita natural durante la cedente, col prestarle vitto, alloggio, vestiario, cure mediche, assistenza e quant’altro risultasse necessario ed utile per una vita decorosa della stessa”.

Poiché era stato accertato che l’anziana signora era affetta da demenza arteriosclerotica e abituale infermità di mente, gli attori lamentavano l’assenza dell’alea dal contratto di mantenimento e chiedevano che il bene immobile oggetto del contratto venisse incluso nella massa ereditaria.

Il Tribunale, tuttavia, rigettava la domanda, che veniva invece accolta dalla Corte di appello di Genova. Il secondo decisore dichiarava infatti la nullità del contratto di mantenimento, disponendo conseguentemente che l’immobile oggetto del contratto nullo fosse compreso nel patrimonio ereditario della signora. La decisione della Corte distrettuale veniva motivata dalla totale mancanza di alea nel contratto in questione, in quanto la previsione di vita ulteriore non era così incerta: la signora anziana, all’epoca del contratto, aveva raggiunto la considerevole età di 91 anni e le sue condizioni di salute erano precarie (e infatti la signora era deceduta dopo soli tre anni).

I cugini interponevano quindi ricorso per Cassazione, ritenendo errata la sentenza d’appello.

La Corte ha quindi accolto il ricorso, non prima di aver spiegato che il contratto atipico di mantenimento è caratterizzato dall’aleatorietà, “la cui individuazione postula effettivamente la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei – ovvero la capitalizzazione della rendita reale del bene – capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitaliziante -, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato”.

Osserva quindi la Corte di legittimità che l’alea va certamente esclusa – e il contratto di mantenimento va dichiarato nullo – ove, preso atto dell’età e dello stato di salute del vitaliziato, al momento della conclusione del contratto il beneficiario è affetto da una malattia così grave che rende molto probabile una rapida morte; l’alea è inoltre esclusa anche nel caso in cui il vitaliziato ha un’età talmente avanzata da non poter sopravvivere oltre un determinato lasso temporale. Ma ciò che la Corte ritiene imprescindibile è la comparazione tra le reciproche prestazioni (del vitaliziante e del vitaliziato), al fine di verificare la sussistenza dell’alea.

La Corte regolatrice ha quindi deciso di cassare la sentenza d’Appello, perché il Giudice distrettuale aveva omesso la comparazione tra le prestazioni, limitando le proprie argomentazioni all’assunto che la vitaliziata, al momento del rogito, aveva già una ragguardevole età e versava in precarie condizioni di salute, tant’è che il decesso della stessa sopravvenne dopo soli tre anni; sicché, per ciò solo, doveva dirsi mancare l’alea essenziale. Pertanto, conclude la Corte di Cassazione, non emerge “in questa motivazione del difetto di aleatorietà esplicitata dalla Corte di merito, e sulla base dei ricordati principi, una reale comparazione tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dai vitalizianti (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza della beneficiaria, ma anche dalle sue condizioni di salute) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, comparazione da effettuare con riguardo al momento della conclusione del contratto”.

La Corte di legittimità ha quindi deciso di non discostarsi, nella sentenza in commento, dai suoi precedenti arresti, se sol si considera che già con la sentenza 22 aprile 2016, n. 8209, aveva osservato che il vitalizio alimentare ha natura aleatoria: in esso l’alea è collegata a un duplice fattore di incertezza, costituito dalla incerta durata della vita del vitalizio e dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto al suo stato di bisogno e di salute. Pertanto, nel vitalizio alimentare “le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni, anche in ragione dell’età e della salute del beneficiario”.

È bene ricordare che l’aleatorietà del contratto di vitalizio alimentare coinvolge, oltre all’elemento della durata della prestazione assistenziale (che non è prevedibile, costituendo la morte del vitaliziato un evento incertus quando), anche quello della obiettiva consistenza della prestazione che il vitaliziante è tenuto ad eseguire: prestazione suscettibile di modificarsi nel tempo, in ragione di fattori molteplici e non predeterminabili (tra cui quelli inerenti alle condizioni di salute del beneficiato).

Peraltro, già con la sentenza n. 7479 del 2013, la Corte di legittimità aveva spiegato che l’aleatorietà, elemento essenziale del contratto in esame, deve essere accertata al momento della conclusione del contratto, il quale è caratterizzato dalla incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata della vita del vitaliziato e dalla incertezza relativa al rapporto tra le prestazioni dovute dal vitaliziante (e che dipendono dalla lunghezza della vita del vitaliziato e dalle sue esigenze personali, che possono aggravarsi nel tempo in dipendenza del suo stato di salute) e il valore del patrimonio ceduto quale controprestazione dal vitaliziato. Non può quindi omettere, il Giudice, di procedere alla valutazione che l’immobile ceduto quale corrispettivo del mantenimento aveva al momento della conclusione del contratto. Valutato il valore dell’immobile, si può quindi procedere alla comparazione delle reciproche prestazioni e verificare in tal modo la presenza dell’alea.

In conclusione, in merito al contratto atipico di mantenimento, va sempre accertata la sussistenza dell’aleatorietà: tale verifica pretende la comparazione tra le prestazioni cui è obbligato il vitaliziante e il cespite patrimoniale ceduto dal vitaliziato.

Avv. Federico Loche

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