La Suprema Corte torna a pronunziarsi sul danno da morte distinguendo la morte immediata dalla sopravvivenza superiore alle 24 ore e il diritto di risarcimento trasmesso agli eredi (Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza n. 18056 del 5 luglio 2019)

L’Ordinanza in commento segue la scia dell’altrettanto articolata e complessa Ordinanza n. 32372 del 13 dicembre 2018 anch’essa frutto dell’illustre penna del Cons. Dott. Rossetti.

Sull’argomento sono intervenute anche le Sezioni Unite nel 2015 che statuivano: “in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure hereditatis” di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”.

Tale principio è stato poi ripetutamente seguito negli anni successivi (Sez. 3, Sentenza n. 24558 del 5.10.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 18328 del 12.7.2018; Sez. 3, Sentenza n. 17043 del 28.6.2018; Sez. 3, Sentenza n. 22451 del 27.9.2017).

La vicenda esaminata riguarda un sinistro stradale tra un autoveicolo e un autobus avvenuto nel 2003 che cagionava la morte di 3 persone (madre e due figli) e approda in Cassazione dalla Corte d’Appello di Milano.

Dall’evento scaturivano due giudizi. Il primo veniva istaurato dalla Società proprietaria dell’autobus e si concludeva in Appello con il riconoscimento di responsabilità per l’80% alla conducente del veicolo e per il restante 20% al conducente dell’autobus. Il secondo giudizio veniva istaurato dal superstite trasportato a bordo del veicolo (coniuge e padre delle vittime) e dal padre e dal fratello della donna deceduta.

Questo giudizio in primo grado vedeva la condanna del conducente e del comproprietario del veicolo. Il successivo grado di Appello vedeva invece ripartita la responsabilità come decisa nell’altro giudizio di Appello, ovvero 80% in capo al conducente dell’auto e 20% in capo al conducente dell’autobus.

Relativamente alle richieste risarcitorie la Corte milanese rigettava quelle avanzate dal marito in punto di danno patrimoniale riferite alla perdita della capacità lavorativa e alla perdita del contributo economico da parte della moglie nonché le perdite future dei contributi economici da parte dei figli.

In punto di danno non patrimoniale all’uomo veniva riconosciuto e liquidato il danno biologico nell’importo di € 50.000,00.

In punto di danno non patrimoniale jure successionis della figlia veniva rigettata la relativa domanda mentre il danno non patrimoniale da uccisione dei prossimi congiunti veniva liquidato come da Tabelle del Tribunale di Milano del 2010.

La vicenda approda in Cassazione su impulso del superstite trasportato (marito della donna deceduta che conduceva il veicolo e anche padre dei 2 figli trasportati anch’essi sul veicolo e deceduti) nonché del padre e del fratello della donna; resistevano in giudizio le Compagnie d’assicurazione Cattolica e Allianz.

Con il primo motivo di ricorso il trasportato superstite lamenta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa ritenuto non provato ed eccepisce che la Corte territoriale “avrebbe dovuto fare ricorso alla prova presuntiva” per liquidare il danno patrimoniale da perdita del reddito da lavoro, ovvero applicare il criterio del triplo dell’assegno sociale”.

Ancora con il primo motivo di ricorso il superstite lamenta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale per la perdita dell’apporto economico derivante all’attività della moglie ed eccepisce che la Corte territoriale “avrebbe dovuto tenere in considerazione i redditi in nero percepiti dalla donna e la perdita delle utilità derivanti dal lavoro domestico svolto”

Sempre con il primo motivo di ricorso il superstite lamenta altresì il mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita dei due figli minorenni ed eccepisce che la Corte milanese “avrebbe dovuto ritenere verosimile che i figli, educati secondo i dettami della tradizione su riferita, non appena ne fossero stati in grado, avrebbero contribuito economicamente ai bisogni della famiglia”.

Gli Ermellini ritengono le tre censure del primo motivo di ricorso infondate e inammissibili.

Relativamente al danno da perdita della capacità lavorativa l’uomo non ha dimostrato il proprio reddito con la  conseguenza che tale aspetto non può essere oggetto di esame da parte dei Giudici di legittimità i quali evidenziano:“lo stesso ricorrente, pur nel contesto di un ricorso assai prolisso, non sia stato mai in grado di indicare quale fosse davvero il suo reddito, e come fosse stato dimostrato: mare verborum, gutta rerum”.

Relativamente all’invocato criterio del triplo dell’assegno sociale viene specificato che lo stesso è applicabile quando la vittima sia priva di reddito e non certo per sopperire alle negligenze istruttorie delle parti.

Riguardo il mancato riconoscimento dell’apporto economico della donna al menage familiare attraverso la prova testimoniale i Supremi Giudici evidenziano che il ricorrente non ha assolto all’onere di indicare in modo specifico le richieste istruttorie, ergo la censura è inammissibile. Anche sul riconoscimento del lavoro domestico della donna la censura viene dichiarata inammissibile poiché ad appannaggio esclusivo del Giudice di merito.

Sul mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro per mancata percezione dei contributi economici da parte dei due figli i Supremi Giudici evidenziano ancora che non vi è stata prova di nessun genere sul punto e che comunque tale circostanza riguarda un apprezzamento di fatto riservato al Giudice del merito.

Con il secondo motivo di ricorso l’uomo eccepisce la errata liquidazione del danno biologico compiuta dalla Corte d’Appello che liquidava il danno biologico in € 50.000,00 in luogo di € 361.920,00 come da Tabelle milanesi.

Gli Ermellini ritengono il motivo fondato e il corrispondente punto della pronunzia d’Appello “non razionalmente comprensibile”.

Difatti è illogico affermare la insussistenza di una lesione incidete sulla complessiva integrità psicofisica del danneggiato e la mera presenza di una lesione comportante solo la riduzione della capacità lavorativa del danneggiato.

Tale affermazione, sostengono gli Ermellini, “proclama la possibile autonomia di due concetti (la validità fisica e la capacità lavorativa) che sono invece legati, per secolare insegnamento della medicina legale, da un nesso di implicazione unilaterale. Come noto, il danno alla salute o danno biologico consiste nelle conseguenze non patrimoniali derivanti da una lesione dell’integrità psicofisica, suscettibile di accertamento medico-legale. Le conseguenze d’una lesione dell’integrità psicofisica, non aventi ripercussioni patrimoniali, sono quelle che incidono sulla validità dell’individuo”.

“Sostenere, pertanto, che la vittima d’un trauma psichico (la Corte d’appello riferisce espressamente dell’esistenza d’una “lesione”) non abbia patito un danno alla salute, ma abbia patito una riduzione della capacità di lavoro, è affermazione insanabilmente contraddittoria, in quanto postula l’esistenza dell’effetto (la perdita della capacità) dopo aver negato l’esistenza della causa (l’invalidità)”.

Anche la liquidazione del danno biologico viene considerata errata in quanto nonostante le conclusioni dei CTU di “disturbo depressivo maggiore cronico” con riduzione della validità biologica del 50% i Giudici territoriali negavano incidenza sulla complessiva integrità psicofisica del danneggiato.

In definitiva, se la Corte territoriale intendeva disattendere le conclusioni della CTU ha errato nel l’omettere le ragioni di tale dissenso.

Se, invece, la Corte territoriale intendeva condividere le conclusioni della CTU ha errato nell’omettere le ragioni di liquidazione del danno biologico in misura differente da quanto indicato dalla consulenza d’ufficio.

In entrambi i casi vi è mancanza totale di motivazione.

Con il terzo motivo di ricorso tutti i ricorrenti lamentano l’errata applicazione per la liquidazione del danno delle Tabelle dell’anno 2010.

Il motivo viene ritenuto fondato.

Col quarto motivo di ricorso il trasportato superstite lamenta l’errato rigetta della domanda di ristoro jure successionis del danno non patrimoniale patito dalla figlia nei tre giorni di sopravvivenza intercorsi fra il sinistro e la morte.

Assume l’uomo che la Corte d’Appello non avrebbe “fornito alcuna seria risposta” alla relativa domanda; che il risarcimento del danno in esame spetta alla vittima – e, per essa, ai suoi eredi – in tutte i casi in cui vi sia stato un apprezzabile lasso di tempo tra il ferimento e la morte; che nel caso di specie una sopravvivenza di tre giorni doveva ritenersi “apprezzabile”.

Il motivo viene ritenuto fondato.

Fermo e impregiudicato che la persona ferita sopravviva quodam tempore e poi muoia a causa delle lesioni sofferte patisce un danno non patrimoniale che può manifestarsi in due vesti.

La prima come pregiudizio derivante dalla lesione della salute che può consistere solo in una invalidità temporanea; la seconda come turbamento e spavento della consapevolezza di morte imminente.

Relativamente al danno biologico temporaneo è necessario che la lesione si sia protratta per un tempo apprezzabile perché “solo un tempo apprezzabile consente quell’”accertabilità medico legale” che costituisce il fondamento del danno biologico temporaneo”.

Tale “lasso di tempo”, dopo numerose pronunzie, anche di legittimità, tra loro confliggenti, viene ritenuto “apprezzabile” se superiore alle 24 ore e viene comunque risarcito a prescindere dallo stato di coscienza della vittima.

Relativamente alla sofferenza provocata dalla consapevolezza di dovere morire, anch’essa posta risarcibile, è necessaria  invece la coscienza della vittima.

Dopo tale ammirevole e impeccabile panoramica, che racchiude in sé un abbondante lustro di “bisticci” giurisprudenziali e anche filologici sull’argomento danno tanatologico/danno da morte immediata/terminale, ecc., gli Ermellini concludono che:

“-) il danno da invalidità temporanea patito da chi sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale è un danno biologico, da accertare con gli ordinari criteri della medicina legale. Di norma, esso sarà dovuto se la sopravvivenza supera le 24 ore, ed andrà comunque liquidato avendo riguardo alle specificità del caso concreto;
-) la sofferenza patita da chi, cosciente e consapevole, percepisca la morte imminente, è un danno non patrimoniale, da accertare con gli ordinari mezzi di prova, e da liquidare in via equitativa avendo riguardo alle specificità del caso concreto.”

La Corte d’Appello ha dunque errato nel rigettare la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla figlia proposta dal passeggero jure successionis, con la seguente motivazione: “nulla va riconosciuto (a G.C. ) per la morte della minore B. , figlia, dato il breve periodo di sopravvivenza della stessa post evento, di circa tre giorni”.

La Corte territoriale ha coniugato erroneamente la sussistenza del danno alla durata della sopravvivenza.

Difatti la durata della sopravvivenza può essere “un elemento indiziario dal quale desumere l’esistenza del pregiudizio (in base al rilievo che una sopravvivenza di pochi istanti, ad esempio, difficilmente lascia alla vittima la consapevolezza della propria sorte); e costituisce certamente un parametro di valutazione del quantum debeatur. Non costituisce, invece, elemento costitutivo dell’an debeatur.”

La sentenza d’Appello viene cassata e rinviata alla Corte in altra composizione che dovrà applicare il seguente principio di diritto:

“la persona che, ferita, non muoia immediatamente, può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento di due pregiudizi: il danno biologico temporaneo, che di norma sussisterà solo per sopravvivenze superiori alle 24 ore (tale essendo la durata minima, per convenzione medico-legale, di apprezzabilità dell’invalidità temporanea), che andrà accertato senza riguardo alla circostanza se la vittima sia rimasta cosciente; ed il danno non patrimoniale consistito nella formido mortis, che andrà accertato caso per caso, e potrà sussistere solo nel caso in cui la vittima abbia avuto la consapevolezza della propria sorte e della morte imminente”.

Avv. Emanuela Foligno

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