Di recente, la Corte Costituzionale e la Cassazione a Sezioni Unite hanno escluso che il diritto al risarcimento integrale dei danni alla persona e da uccisione, trovi fondamento nella Costituzione.

Il caso in esame riguarda un’ipotesi di omicidio colposo da circolazione stradale con il verificarsi dell’evento morte nell’immediatezza (con un lasso temporale infinitesimale e sul punto vi sarebbe già molto da discutere) del sinistro. Il de cuius non avrebbe acquisito al proprio patrimonio il diritto al risarcimento del bene della vita e, pertanto, non lo potrebbe trasferire agli eredi, ai quali, comunque, vengono riconosciute altre voci risarcitorie.

Le due sentenze (Corte Costituzionale 16 Ottobre 2014, n. 235 e Cassazione Civile, Sez. Unite, 22 Luglio 2015, n. 15350) sono perentorie nell’affermare la predetta esclusione: – per le Sezioni Unite è “…noto che secondo la giurisprudenza costituzionale il principio dell’integrale risarcibilità di tutti i danni non ha copertura costituzionale…”; – per la Consulta il diritto all’integralità del risarcimento non costituirebbe un “valore assoluto e intangibile” e potrebbe essere compresso per riconoscere protezione al contrapposto “valore dell’iniziativa economica privata” delle imprese assicuratrici.

In punto di diritto (statico, inteso come rigorosa interpretazione della norma) il percorso logico seguito dai due organi non fa una grinza. Da un lato i principi costituzionali non prevedono una integrale risarcibilità di tutti i danni, dall’altro, è comunque opportuno un bilanciamento con il valore dell’iniziativa economica privata (delle compagnie assicurative). Non condividere d’istinto queste conclusioni è facile, ma trovare dei riferimenti normativi a sostegno di una diversa tesi è abbastanza complicato. E’ di aiuto, però, un principio che rappresenta le fondamenta del nostro sistema giuridico e cioè la mutevolezza del diritto (detto per l’appunto “vivente”) e la necessità che lo stesso, si plasmi alle istanze legittime rappresentate dalla collettività.

In questo caso, l’applicazione delle norme richiamate dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione è statica. I due organi si adeguano ad un orientamento predominante e risalente a tempi passati, senza farsi carico del mutamento nel “sentire” i valori (diritti) da parte della collettività (si ricordi, formata da singoli individui) che dovrebbe portare ad una attualizzazione dell’interpretazione delle stesse norme giuridiche. La norma non è un dogma; è solo un filtro che consente di riassumere fatti e circostanze all’interno del quale l’operato dell’individuo è legittimo, ed al di fuori del quale non lo è.

La legislazione altro non è che la sintesi di istanze contrapposte che si riassumono nel dettato normativo. Nei vari periodi storici la stessa norma sarà interpretata diversamente, in quanto dovrebbe essere contestualizzata sia al periodo nel quale è stata emanata, sia a quello di applicazione. Ciò che ieri rappresentava un illecito, oggi, potrebbe non più essere così sentito dall’individuo, e pertanto, dalla collettività della quale fa parte.

Inoltre, nel caso delle due sentenze in commento, ci troviamo di fronte al richiamo di un brocardo che è talmente saldo è radicato nel tempo, da far sorgere il dubbio sull’opportunità di quel richiamo se non esclusivamente a dar sostengo ad un orientamento ormai fallace ed in contrasto con il comune sentire. Ciò appare come una evidente forzatura, finalizzata a supportare gli interessi di una categoria imprenditoriale (le assicurazioni). Infatti, la tesi è supportata anche con il richiamo ad Epicuro “…quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo più noi…”, pertanto, il diritto al risarcimento della distruzione per fatto illecito del bene primario della vita, non sarebbe trasmissibile agli eredi, in caso di decesso “quasi” immediato.

Epicuro lasciamolo stare. Oggi è l’epoca del denaro e le leggi emanate, vanno spessissimo incontro alla tutela del patrimonio e del reddito; non vi è da scandalizzarsi se ciò avviene contemperando costantemente gli altri diritti di pari o superiore rango. Nel caso delle sentenze in commento, è data maggior rilevanza e tutela al diritto ad intraprendere, al rischio imprenditoriale, anziché al bene della vita. Non condivido quanto sostenuto dalle due sentenze.

E’ un controsenso affermare che, non possa essere ammesso a risarcimento il danno tanatologico, perché non si risarcirebbe la vittima che del risarcimento non può più astrattamente giovarsi, ma così si assicurerebbe esclusivamente un lucro agli eredi ed allo Stato (quale ultimo successore) e, al tempo stesso, sostenere che il diritto a fare impresa è maggiormente tutelabile. In entrambi i casi, il bene tutelato è il denaro, con una sola differenza che da un lato si compiacciono le compagnie assicurative, garantendo loro di non dover risarcire quel danno (spesso notevole) e, dall’altro, si richiama Epicuro per giustificare la non trasmissibilità del diritto (al denaro) agli eredi.

La forzatura è evidente ed a nulla serve dissertare sulle norme richiamate. Concludendo, si è scientemente data priorità alla tutela del denaro dell’impresa (assicurativa) intesa come gruppo legittimo di potere, anziché dell’individuo, quale facente parte della collettività e, dunque, dello Stato. Garantire maggiormente l’interesse economico di una categoria imprenditoriale a discapito di quello, in ultima istanza, dello Stato (costituito dalla moltitudine dei cittadini) e dunque pubblico, è azione politica non di competenza dei giudici ma del Parlamento che, se del caso, dovrebbe emanare nuove norme che regolino la materia, non lasciandola nella disponibilità dell’organo giudiziario a ciò costituzionalmente non preposto.

Avv. Fabrizio Cristadoro

Scarica il pdf della sentenza:

Sez. Un. 15350_07_15

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