Mi soffermerò brevemente in questo articolo sull’elemento soggettivo del reato, rappresentando al lettore la differenza tra il dolo, la colpa e la preterintenzione.

Innanzitutto, alla luce di quanto espressamente previsto dall’art. 43 c.p., il reato è doloso, ossia secondo l’intenzione, colposo, ossia contro l’intenzione, e preterintenzionale, ossia oltre l’intenzione.

Il dolo rappresenta il criterio normale di imputazione soggettiva a dispetto della colpa ovvero della preterintenzione, le cui fattispecie di reato sono quelle espressamente indicate dal Legislatore.

Il reato è doloso (ovvero secondo l’intenzione) allorquando l’evento illecito, penalmente rilevante, derivi da una condotta prevista e voluta dall’agente: dunque, il reato è doloso quanto il soggetto attivo agisce con la coscienza e la volontà, pienamente consapevole che la propria azione ovvero omissione rientri nell’alveo delle condotte penalmente rilevanti.

La Dottrina, poi, ha configurato numerose classificazioni del dolo ed in questa sede riporterò brevemente – al fine di non tediare il lettore – quelle che ad avviso di chi scrive sono le più rilevanti:

  • dolo generico, allorquando il reo agisce con la coscienza e la volontà che la propria condotta configuri il fatto descritto dalla norma incriminatrice;
  • dolo specifico, allorquando il reo agisce con la consapevolezza di assumere una condotta penalmente rilevante, al fine di conseguire un determinato scopo;
  • dolo eventuale, allorquando l’agente prevede che la propria condotta possa integrare una fattispecie penalmente rilevante e ne assume il rischio che l’evento dannoso si verifichi.

La colpa sussiste allorquando l’evento dannoso discenda dalla condotta posta in essere dall’agente, non sussistendone, tuttavia, la volontà che il medesimo si realizzi.

Pertanto, nelle fattispecie di reato colposo, mancando la volontà del reo, distinguiamo tra colpa generica, allorquando il fatto deriva da negligenza – mancata adozione da parte dell’agente di tutte le cautele imposte dalle regole cautelari – da imprudenza – il soggetto attivo agisce sebbene le regole cautelari sconsiglino espressamente di porre in essere una determinata azione – e da imperizia – che consiste nella ignoranza e nella inattitudine dell’agente – e colpa specifica, allorquando il fatto discende dalla inosservanza da parte dell’agente di leggi, regolamenti, ordini e discipline.

Merita di essere in questa sede menzionata anche la colpa cosciente, che si differenzia dal dolo eventuale, così come sopra specificato: in particolare, si configura la colpa cosciente quando l’agente prevede che la propria condotta possa integrare una fattispecie penalmente rilevante, ma nonostante ciò è sicuro delle proprie capacità e dunque che l’illecito non si verifichi.

Infine, la preterintenzione sussiste quando dall’azione ovvero dalla omissione deriva un evento più grave rispetto a quello voluto dall’agente: l’esempio di scuola è quello di Tizio che aggredisce Caio con lo scopo di procurargli delle lesioni, cagionandone, per contro, la morte. Si tratta, dunque, del c.d. omicidio preterintenzionale.

Concludo rappresentando a chi legge che sull’elemento psicologico del reato ci sono pagine e pagine scritte dalla Dottrina e dalla Giurisprudenza di Legittimità e che riportare in questa sede tutto quanto descritto – in punto squisitamente di diritto – rischierebbe di andare contro l’intento di chi scrive, che è appunto quello di rappresentare schematicamente la differenza tra dolo, colpa e preterintenzione.

Avv. Aldo Antonio Montella
(Foro di Napoli)

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