Tema delicato, incompreso da molti medici valutatori e addirittura “violentato” nelle ultime tabelle del SIMLA dove ci si è dimenticato che la valutazione va fatta di tutto il danno, conseguenza compresa, con la disfunzionalità che dal dolore deriva, senza preconcetti astratti.

Sempre più frequentemente mi trovo a “combattere” con molti medici forensi quando si giunge alla valutazione del danno biologico, specialmente quando si tratta di valutare postumi caratterizzati anche da dolore cronico che, logicamente, peggiora la funzionalità dell’organo leso.
Le discordanze nascono “grazie” alle tabelle medico legali del danno biologico, che seppur chiare nelle prefazioni non riescono ad entrare in testa a tutti i medici valutatori. Per questa esperienza acquisita su tutto il territorio nazionale (ad eccezione di alcune “isole felici”) ho sempre sostenuto che le tabelle medicolegali del danno biologico dovrebbero essere molto succinte e utilizzate esclusivamente dagli specialisti medico legali la cui criteriologia si basi su linee guida preconfezionate dagli organi medico legali competenti (diciamo così!).
Tale situazione non solo favorirebbe la classe medico legale, ma eleverebbe anche tale categoria di specialisti rispetto alle altre e ne aumenterebbe l’immagine presso i Giudici.
Ma i fatti, purtroppo, dicono il contrario: la tendenza alla tabellazione di ogni fattispecie di danno la fa da padrone portando nel suo seno gli “errori di fatto”.
Ritorniamo al sintomo “dolore” valutabile dal medico legale come danno biologico.
Mi voglio rifare alle ultime tabelle SIMLA che hanno il pregio di averlo trattato come disfunzione rispetto a tutti i barèmes precedenti, ma hanno toppato, a parere del sottoscritto, nella logica valutativa che è abortita nella suddivisione in tre categorie con le relative maggiorazioni di danno.
In sintesi, si desidera elogiare la premessa alla tabella valutativa che recita “… nella valutazione medico legale del dolore, oltre ai parametri clinici, devono essere considerati anche l’impatto sulla qualità della vita, l’aderenze alle cure, lo stato emotivo psicologico e le condizioni socio-ambientali, ivi compresa l’etnia e il livello di inserimento sociale del soggetto…”, ma si contesta grandemente la sintesi valutativa nelle tre categorie che si riportano di seguito (si omette quella relativa alla sindrome dell’arto fantasma):

  • Dolore lieve: …Maggiorazione di 1/5 rispetto al limite superiore della fascia percentuale corrispondente alla disfunzionalità distrettuale;
  • Dolore moderato: …Maggiorazione di ¼ rispetto al limite superiore della fascia percentuale corrispondente alla disfunzionalità distrettuale;
  • Dolore Grave: … Maggiorazione di 1/3 rispetto al limite superiore della fascia percentuale corrispondente alla disfunzionalità distrettuale.

Che dire di questa scelta medico legale? E’ una scelta che va verso il risarcimento integrale del danno o verso le casse delle compagnie di assicurazione o comunque dei debitori?
Beh, il parere dello scrivente tende alla seconda anche in considerazione della valutazione di tutti i danni/postumi tabellati relativi all’apparato muscoloscheletrico che sembra simile a quella fatta per la redazione delle tabelle ANIA.
Ma tale sintesi valutativa del dolore non solo va contro il concetto del risarcimento integrale del danno, ma cozza contro la logica valutativa per il seguente motivo (che spero apra un dibattito forense):

  • Non si può predeterminate la valutazione della disfunzione algica di un distretto anatomico in base alla gravità del dolore, ma essa (valutazione) deve necessariamente essere fatta sulle conseguenze del dolore, evidentemente cronico, sulla funzionalità del distretto anatomico interessato.

La logicità di tale affermazione va incontro non solo al diritto vivente, ma anche ai concetti di proporzionalità e analogia molto cari al legislatore. Ma di ciò ne parleremo in seguito.
 
 

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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