La normativa che ha introdotto nell’ordinamento nazionale il reato di immigrazione clandestina – legge 2.7.2009 n. 94 – è una delle più controverse approvate dal Parlamento; le ragioni del persistente contrasto sono notorie e tali da non richiedere approfondimento in questa sede.

Ciò che appare prima facie maggiormente di rilievo è la considerazione – in larga parte fondata su aspetti empirici – che nessuna legge può essere interpretata (e di conseguenza applicata) senza tener conto dell’evoluzione dell’ordinamento e delle sensibilità sociali sottostanti.

La sentenza in commento rappresenta un cambio di direzione – anche piuttosto brusco – nella giurisprudenza di legittimità in tema di immigrazione clandestina.

Gli ermellini affermano – in questa pronuncia – che lo straniero extracomunitario non può essere espulso dal territorio nazionale anche quando sia presente senza titolo, nell’ipotesi in cui abbia in piedi una convivenza con un cittadino di nazionalità italiana o equiparata, in applicazione diretta della legge 76/2016 c.d. sulle unioni civili.

Al di la della decisione sul caso concreto l’argomentato della sentenza ci dice anche che la legge citata rappresenta un vero e proprio punto di svolta giacchè anteriormente ad essa la semplice convivenza more uxorio non era considerata di ostacolo all’espulsione dello straniero irregolarmente soggiornante,ciò anche prescindendo dal portato dell’art. 2 del Dlgs 286/1998.

A mente della norma testé citata lo straniero irregolarmente soggiornante è comunque titolare dei diritti fondamentali della persona, per come tutelati nell’ordinamento tra i quali notoriamente rientra il diritto al rispetto della propria sfera privata e personale. Supporta l’evidente revirement della Cassazione l’esame della più recente giurisprudenza comunitaria che induce la considerazione per cui per poter essere adottata una misura di espulsione deve essere proporzionata e basata sul comportamento personale del cittadino non-UE, comportamento che deve rappresentare una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società dello stato membro ospitante.

Si deve anche considerare che la stabilità della convivenza, certificata dalla sottoscrizione del relativo contratto, in forma di atto pubblico.

A parere di chi scrive non contrasta con le conclusioni assunte dalla sentenza la mancanza – nel testo normativo – del richiamo all’obbligo di fedeltà per chi concluda questo genere di contratti, in quanto sostanzialmente irrilevante per il concetto di assistenza morale e materiale che può ricollegarsi ad altre previsioni.

Nel caso di specie risulta più facilmente applicabile la previsione del comma 36 della legge che definisce e disciplina le convivenze di fatto come due persone maggiorenni stabilmente unite da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione da matrimonio o da unione civile provvedendo a disciplinare specificamente:

– diritti stabiliti dall’ordinamento penitenziario;

– diritto di assistenza, di accesso alle informazioni personali e di decisione in tema di trattamenti terapeutici, donazione degli organi, trattamento del corpo e celebrazioni funerarie;

– diritto di continuare ad abitare per un determinato periodo di tempo (variabile a seconda di alcune circostanze) nella casa di esclusiva proprietà del convivente defunto;

– diritto di successione nel contratto di locazione di immobile a seguito della morte del convivente conduttore;

– diritto di concorrere nelle graduatorie di assegnazione di alloggi di edilizia popolare, a parità di condizioni con coniugi o familiari di altro grado;

– diritto di ricevere utili provenienti dall’impresa familiare;

– diritto di divenire tutore, curatore o amministratore di sostegno del proprio convivente;

– diritto al ricevimento degli alimenti di cui al titolo XIII del libro I del codice civile, ma non il mantenimento in caso di scioglimento della convivenza.

In ultimo quanto ai rapporti patrimoniali è concessa ai conviventi di fatto la possibilità di stipulare tra loro un contratto di convivenza, specificamente regolato dai commi da 50 a 64, e che ricalca in maniera pressoché pedissequa i corrispondenti istituti del diritto matrimoniale, quanto a stipulazione, contenuto, risoluzione ed incondizionalità.

Tutte le previsioni elencate portano a concludere che l’espulsione del convivente extracomunitario trova limite nel diritto del cittadino UE alla vita familiare ed alla stabilità della stessa, la cui lesione rappresenta un danno diretto al diritto comunitario regolato dal Trattato FUE che vieta qualsiasi provvedimento nazionale che abbia l’effetto di privare i cittadini UE del godimento effettivo dei diritti loro attribuiti dal suddetto status

Avv. Silvia Assennato

(Foro di Roma)

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