Non è errata la sentenza che riconosce il diritto per il lavoratore di essere trasferito nella sede più vicina al familiare disabile da assistere. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza n. 6150/2019

Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso in altra sede”.

La vicenda

Nel 2014 la Corte d’appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato legittimo il diritto del lavoratore dipendente, di scegliere la sede di lavoro più vicina al comune di residenza della sorella disabile, la quale necessitava di assistenza e, pertanto, aveva ordinato all’azienda datrice di lavoro, di disporre il suo immediato trasferimento.
La corte d’appello, facendo applicazione della più recente giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto che l’art. 33, comma 5, della Legge n. 104/1992 (modificato dalla L. n. 53/2000 e poi dalla L. n. 183/2010, dovesse trovare applicazione non soltanto nella fase genetica del rapporto di lavoro (quanto alla scelta della sede di lavoro), ma anche in ipotesi di domanda di trasferimento proposta dal lavoratore.
I giudici della corte territoriale avevano, inoltre, ritenuto sussistente sia il requisito soggettivo cioè la condizione di grave handicap della sorella e sia il requisito oggettivo della disponibilità di posti per lo svolgimento delle mansioni in uffici più vicini alla residenza del familiare.
Ma per l’azienda, tale decisione era illogica oltre che contraria alla legge e pertanto, decideva di proporre ricorso per Cassazione.

Il richiamo normativo

In riferimento alla materia in esame, l’art. 33, comma 5, della Legge n. 104/1992, nella sua originaria formulazione, ha statuito che il diritto del genitore o familiare lavoratore “che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato” di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, è applicabile non solo all’inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l’attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento.
La ratio della norma – affermano i giudici della Cassazione- è infatti, quella di favorire l’assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante, a tal fine se l’esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all’epoca dell’inizio del rapporto stesso.
Tale interpretazione, si impone a maggior ragione dopo la modifica del 2000 che ha eliminato il requisito della convivenza tra il lavoratore e il familiare handicappato e poi con quella del 2010 che ha eliminato i requisiti della “continuità ed esclusività” dell’assistenza.
Per i giudici della Cassazione, dal punto di vista letterale la disposizione in esame, non contiene un espresso e specifico riferimento alla scelta inziale della sede di lavoro e risulta quindi applicabile anche alla scelta fatta nel corso del rapporto, attraverso la domanda di trasferimento; né la dizione letterale del citato comma 5 dell’art. 33 implica la preesistenza dell’assistenza in favore del familiare rispetto alla scelta lavorativa (anche a seguito di trasferimento), in quanto al lavoratore è riconosciuto il diritto di “scegliere la sede di lavoro” più vicina al “domicilio della persona da assistere” non necessariamente già assistita.
Dunque è errata la censura introdotta dal datore di lavoro in ordine alla necessità che la condizione di handicap debba presuppore una assistenza “permanente, continuativa e globale”, quest’ultima attiene, infatti al tipo di assistenza di cui ha bisogno la persona in condizione di handicap grave, ma non è necessariamente l’assistenza che farà carico sul singolo familiare, anche in ragione della soppressione del requisito di esclusività dell’assistenza ai fini delle agevolazioni di cui si discute.

La tutela della salute psico-fisica del familiare disabile

Per i giudici della Cassazione, l’interpretazione svolta dalla corte territoriale era del tutto coerente con il disposto normativo di riferimento e comunque l’unica compatibile con le esigenze di tutela di rilievo costituzionale connesse alla condizione di persona con handicap.
L’assistenza del disabile costituisce un fondamentale fattore di sviluppo della personalità oltre che idoneo strumento di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica.
Tale ultimo diritto va tutelato e garantito al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo, sia in quanto facente parte di una formazione sociale ai sensi dell’art. 2 Cost.
E, in tale prospettiva, l’art. 33, comma 5 disciplina uno strumento indiretto di tutela in favore delle persone in condizioni di handicap, attraverso l’agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede ove svolgere l’attività affinché quest’ultima risulti il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza.
Ne consegue che “circoscrivere l’agevolazione in favore dei familiari della persona disabile al solo momento della scelta inziale della sede di lavoro, come preteso dalla società ricorrente, equivarrebbe a tagliare fuori dall’ambito di tutela tutti i casi di sopravvenuta esigenza di assistenza, in modo del tutto irrazionale e con compromissione dei beni fondamentali poc’anzi richiamati.”
È chiaro che tale diritto del lavoratore non è assoluto ma deve sempre essere bilanciato con altri diritti fondamentali e con gli interessi del datore di lavoro, quali ad esempio, quelli disciplinati dall’art. 41 Cost.
Pertanto, le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore potranno trovare il solo limite delle esigenze tecniche, organizzative e produttive, allegate e comprovate dalla parte datoriale, non solo effettive, ma anche non suscettibili di essere diversamente soddisfatte (Cass. n. 24015/2017).
Anche sul punto la decisione impugnata risultava incensurabile.
Nulla da fare dunque per il datore di lavoro, l’ordine di trasferimento è diventato definitivo.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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