“Al fine di escludere o graduare la colpa del medico per aver lo stesso agito seguendo le Linee Guida e i Protocolli Ufficiali, occorre gli stessi siano conoscibili e valutabili dal giudicante attraverso l’allegazione in giudizio operata dalla parte che intende avvalersene. In mancanza di tal produzione, venendo meno la possibilità per il Giudice di conoscere le regole della migliore scienza medica, non sarà possibile per il medico stesso provare la correttezza del proprio operato”. Così recita la sentenza n.26985 Sez. IV della Corte Penale di Cassazione.
Con la sentenza in discorso, la Corte di Cassazione contribuisce a chiarire e rendere valutabile, l’importanza che hanno, nella valutazione della presunta colpa medica, le Linee Guida e i Protocolli Ufficiali ai quali i medici spesso fanno riferimento, non solo nel loro quotidiano operare, ma anche nel momento in cui debbano di difendersi da accuse più o meno fondate.
In particolare il caso di specie riguarda l’effettuazione di due interventi, l’uno conseguente all’altro di condroplastica con membrana collagenica e trapianto osseo autologo della testa del femore e osteotomia di bacino periacetabolare destro con diagnosi clinica di necrosi asettica della testa del femore in displasia anca destra e di accesso laterale diretto su precedente.
In particolare il medico ricorrente, fra gli altri motivi di ricorso, lamentava la mancata applicazione delle esimenti di cui all’art. 3 della c.d. Legge Balduzzi (L. n°189/12), poichè l’aver agito secondo Linee guida e Protocolli che dimostrerebbero che, nel caso di specie, non vi fosse certezza che le conseguenze dell’intervento, in caso di diverso agire, sarebbero state differenti.
Come spesso mi capita di dire, negli interventi che faccio in convegno o Master, tali strumenti, utilissimi ai medici nel loro quotidiano al fine di compiere scelte pratiche che siano quanto più possibile prive di incertezza, non sono utili in assoluto e, soprattutto, non rappresentano una garanzia nel momento in cui è l’operato del medico ad essere sotto giudizio.
A conferma di ciò, la sentenza in discorso fissa alcuni concetti chiave. Innanzitutto occorre poter dimostrare che le Linee Guida o i Protocolli che si assume di aver seguito, siano rappresentativi della migliore scienza medica applicabile al momento del fatto al caso concreto. In secondo luogo, occorre che il medico che intenda avvalersi del “manto protettore” rappresentato da tali strumenti, li produca in giudizio rendendoli conoscibili e valutabili dal Giudice. In mancanza della detta produzione, che comporta un impossibilità per il giudicante di verifica diretta rispetto al contenuto degli stessi, le difese del medico risulteranno quali semplici affermazioni che non potranno essere tenute in nessun conto ai fini della valutazione della responsabilità.
La mancata allegazione rende, quindi, del tutto inapplicabile l’art. 3 della detta Legge, per il quale il medico specialista che dimostri di aver agito seguendo le regole della migliore scienza medica (Linee guida e Protocolli appunto) non risponda penalmente di colpa lieve, poiché manca in toto per il giudicante la possibilità di valutare le condotte dedotte in giudizio attraverso un raffronto con le regole della scienza medica riportate dei detti documenti, raffronto che, evidentemente deve essere direttamente effettuabile dal giudicante e non mediato, ad esempio, dalla citazione delle stesse regole operata eventualmente anche in sede di consulenza di parte o di ufficio.

Avv. Gianluca Mari

 

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui