Al datore di lavoro non basta assumere consulenti esterni specialisti in materia di prevenzione antinfortunistica per essere manlevato dal rischio di condanne in caso di incidente sui luoghi di lavoro. Allo stesso tempo va eliminato qualsiasi automatismo sulla penale responsabilità per cooperazione colposa di questi ultimi. Il giudizio deve essere sempre improntato alla verifica concreta e individuata sulla base di un ragionamento probatorio che dia adeguato conto al di là di ogni ragionevole dubbio, alla sua riducibilità in termini di prevedibilità e di evitabilità dell’evento.

Il principio è stato di recente espresso dai giudici della Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 57397/2018), che si sono pronunciati su un caso di incidente sul lavoro in cui hanno perso la vita due lavoratori ed un terzo è rimasto gravemente ferito.

L’imputazione

Erano stati sottoposti a procedimento penale il responsabile del servizio sicurezza e prevenzione e il consulente esterno (un perito industriale) specialista in prevenzione antinfortunistica, legato alla società datrice di lavoro da un contratto d’opera intellettuale, per non aver adeguatamente coadiuvato il datore di lavoro nella valutazione globale di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei dipendenti presenti sul luogo di lavoro e nella successiva elaborazione del relativo documento.

Ciò accadeva in conseguenza ad un grave incidente occorso proprio nell’azienda in questione, a seguito del quale erano rimasti coinvolti tre lavoratori.

I reati ascritti erano quello di omicidio colposo, per due dei tre, e lesioni personali colpose gravi, per l’altro.

L’incidente era avvenuto all’interno del reparto fonderia della predetta società, che per l’appunto, produce acciai speciali centrifugati.

La vicenda

Il giorno dell’incidente, i tre lavoratori si trovavano in prossimità di una delle macchine centrifughe elettricamente alimentate quando improvvisamente, a causa di un malfunzionamento (nella specie un cedimento) di due dei tre dispositivi meccanici di lavorazione dell’acciaio, fuoriusciva con forte violenza una massa di circa 270 kg di acciaio allo stato liquido, sotto forma di pioggia incandescente.

L’impatto fu disastroso per i tre dipendenti che venivano colpiti in varie parti del corpo dal fluido.

A seguito dell’incidente si profilò subito l’ipotesi di cooperazione colposa del datore di lavoro, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e del consulente esterno, (un perito industriale) specialista in prevenzione antinfortunistica), legato al primo da un contratto d’opera intellettuale.

Ebbene, in capo a questi ultimi, si addebitava il fatto di non aver adeguatamente coadiuvato il datore di lavoro nella valutazione globale di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei dipendenti presenti sul luogo di lavoro e nella successiva elaborazione del relativo documento.

In particolare, gli si rimproverava di non aver valutato i rischi derivanti dalla messa in servizio e delle modalità di impiego delle attrezzature in questione. I macchinari di produzione, erano infatti operanti da anni, senza tuttavia, un documento progettuale e senza la previa attestazione da parte del costruttore della sua conformità ai requisiti essenziali di sicurezza e di salute, con dichiarazione CE ed apposizione di marcatura di conformità CE, come imposto dal regolamento “macchine”.

A maggior ragione perché si trattava di attrezzatura estremamente pericolosa.

Nel corso del giudizio era emerso, altresì, che i macchinari presentavano delle protezioni inadeguate allo scopo e che gli stessi lavoratori solevano indossare dispositivi di protezione individuale assolutamente inadatti rispetto al rischio potenzialmente causato dalle temperature estreme.

Ad entrambi i professionisti si contestava essenzialmente di non aver segnalato le predette situazioni di rischio al datore di lavoro, il quale pur rivestendo nel caso specifico la funzione di RSPP, mancava di cognizioni nella materia della prevenzione e protezione dei rischi professionali per i lavoratori.

Cosicché entrambi gli imputati, venivano condannati per i fatti a loro ascritti nei due gradi di giudizio.

Il ricorso per Cassazione

La Cassazione ammonisce i giudici di merito, ricordando che secondo la normativa di settore e per giurisprudenza costante, è il datore di lavoro ad essere il primo destinatario del generale obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., in quanto garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez, IV, n. 4361/2014); è sempre il datore di lavoro che è tenuto, a norma degli artt. 3 e 4 del D.lgs. 626/1994 alla redazione del documento di valutazione dei rischi, del piano operativo di sicurezza, nonché alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Si tratta – aggiunge – di obblighi non delegabili, tranne in presenza di rischi particolarmente complessi e specifici che richiedono la presenza di un soggetto altamente specializzato. Ad ogni modo, il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione dei suddetti documenti non esonera il datore di lavoro all’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia. È inoltre sempre sul datore di lavoro che grava il fondamentale obbligo di formazione ed informazione dei lavoratori (Sez. IV, n. 3975/2015).

In ambito aziendale sono poi individuabili altre figure destinatarie della normativa prevenzionistica, e come tali, sono titolati di distinte posizioni di garanzia. Vi è il dirigente, che costituisce il livello di responsabilità intermedio che è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell’assicurare l’osservanza della disciplina legale nel suo complesso.

Poi c’è il preposto che è colui che sovrintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l’esecuzione, sulla base e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico.

Ciò implica che l’individuazione della responsabilità penale passa attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione.

Ad ogni modo, a giudizio della Suprema Corte, i giudici di merito non si sarebbero attenuti ai principi di imputazione oggettiva del reato omissivo improprio derivante da colpa, che richiede a sua volta, una accurata e specifica individuazione delle concrete mansioni e competenze attribuite al soggetto individuato come garante, in maniera tale da poterne affermare la responsabilità penale per non aver impedito l’evento.

Ciò non significa che un consulente esterno non possa essere chiamato a rispondere di eventuali comportamenti colposi che abbiano contributo, in cooperazione colposa ai sensi dell’art. 113 c.p., all’aggravamento del rischio. Occorre tuttavia, che una simile condotta sia correttamente analizzata e individuata sula base di un ragionamento probatorio che dia adeguato conto al di là di ogni ragionevole dubbio, alla sua riducibilità in termini di prevedibilità e di evitabilità dell’evento.

Ergo, le singole posizioni vanno valutate caso per caso e singolarmente, evitando il rischio di qualsiasi automatismo di attribuzione (oggettiva) di penale responsabilità.

Cosicché per uno dei due imputati la sentenza di condanna è stata annullata senza rinvio, per l’altro è stata disposta la riapertura del procedimento.

Avv. Sabrina Caporale

 

 

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