L’ infermiera non avvisa dello shock emorragico e viene condannata in Appello a 20 giorni di reclusione. In Cassazione viene invece assolta, ecco perché

A Torino, di notte, una infermiera non avvisa dello shock emorragico di un paziente. Il paziente sopravvive ma fa causa alla struttura.
Il medico di turno non avvisato e l’infermiera vengono condannati entrambi in primo grado a due mesi di reclusione. La Corte di Appello riforma la condanna e la fissa a 20 giorni.
L’infermiera da quel momento ricorre da sola in Cassazione. La Corte, con la sentenza n. 39497/2017, le dà ragione.
Non è possibile addebitarle la responsabilità dello shock emorragico per il solo fatto che non abbia allertato il medico di guardia, nonostante le lamentele del paziente.
Gli Ermellini, infatti, abbracciano la tesi della difesa secondo la quale occorre dimostrare che la struttura sanitaria era in grado di garantire gli esami necessari e il medico poteva intervenire.
Si sarebbe dovuta produrre la prova che la struttura sanitaria fosse in grado di garantire gli esami di laboratorio necessari a diagnosticare la complicanza emorragica. Non solo.
Va anche dimostrato che, se l’infermiera avesse avvisato il medico, questi avrebbe potuto compiere immediatamente gli interventi utili a impedire l’aggravarsi della condizione di shock emorragico.
In questo caso, non era stata dimostrata nessuna di tali circostanze, né se durante la notte la condizione del paziente fosse ancora reversibile e gli interventi iniziati la mattina seguente potevano essere anticipati.
Mancava, insomma, il “necessario giudizio controfattuale” che per i giudici di legittimità è indispensabile per accertare l’effettiva relazione causale tra la condotta omissiva dell’infermiera e l’evento.
La Corte affidava dunque la relativa indagine affidata al giudice di rinvio.
 
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