I dati sulle infezioni batteriche ospedaliere descrivono una situazione ancora allarmante nel nostro Paese, con complicanze e morti, evitabili mettendo in pratica semplici regole di igiene, diagnosi rapida, accesso agevolato e regolato ai nuovi antibiotici

Le infezioni batteriche ospedaliere spaventano più di molte malattie. Su 9 milioni di ricoverati negli ospedali italiani, ogni anno si registrano da 450mila a 700mila casi. Le infezioni colpiscono dal 5% all’8% dei pazienti ricoverati, in special modo quelli assistiti nelle terapie intensive. Nell’ 1% dei casi tali infezioni sono mortali con circa 7mila decessi all’anno. L’impatto economico del fenomeno è stimabile in circa 1 miliardo di euro all’anno. Tale cifra grava sul bilancio sanitario e viene quindi sottratta ad azioni di prevenzione e a risorse per il corretto utilizzo dei nuovi antibiotici.

La resistenza agli antibiotici da parte di alcuni microrganismi rappresenta un ulteriore problema che nasce da un uso inappropriato degli antibiotici stessi. Per questo il Gruppo italiano per la stewardship antimicrobica (Gisa) avanza alcune proposte per migliorare l’utilizzo degli antibiotici, per favorire l’accesso a quelli di nuova formulazione diminuendo l’uso inappropriato, perciò inutile, degli stessi, e per ridurre il rischio infettivo dei pazienti in ospedale.
Questo può avvenire a partire da una maggiore attenzione alle buone pratiche assistenziali, dalla necessità di promuovere le vaccinazioni tra gli adulti, i soggetti a rischio e tra gli operatori ospedalieri, dal potenziamento dei servizi di microbiologia e da un forte coinvolgimento dei farmacisti ospedalieri.

A Capri gli specialisti hanno fatto il punto sulla situazione attuale nel nostro Paese, mettendo l’accento su nuove proposte per contrastare l’antibiotico-resistenza.

“Oggi i nuovi antibiotici non sono considerati, a rigore di definizione, farmaci innovativi, in quanto rappresentano una evoluzione di farmaci già esistenti. Non godono quindi di percorsi che ne favoriscano un rapido e facile accesso e non hanno allocazione di risorse dedicate – afferma il professor Francesco Menichetti, presidente Gisa –; la necessità di accedere a questi nuovi farmaci impone una revisione delle regole (scheda AIFA, restrizione prescrittiva) che non vada verso una insensata liberalizzazione bensì consideri procedure che permettano, definiti chiaramente gli ambiti di potenziale utilità, l’accesso rapido da parte di specialisti che trattano pazienti con infezioni gravi, per i quali tali farmaci potrebbero essere un salva-vita”.

Fattore determinante per contrastare l’antibiotico-resistenza è la lotta alle infezioni ospedaliere, per cui l’Italia rimane maglia nera in Europa.

“Nel nostro Paese il livello di antibiotico-resistenza è fra i più elevati d’Europa, con una percentuale annuale di pazienti infetti fra il 7 e il 10%. Al momento non abbiamo purtroppo un sistema efficiente di rilevazione delle infezioni ospedaliere e non possiamo stimare con certezza l’impatto delle stesse sulla popolazione in ospedale; esistono però sistemi di rilevazione dell’antibiotico – resistenza abbastanza puntuali e che ci confermano che la situazione non è buona, soprattutto quanto riguarda i germi Gram Negativi – aggiunge la dottoressa Stefania Iannazzo, Medico Responsabile della struttura semplice “Programmi vaccinali, AMR e ICA”, Direzione Generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute -. Uno dei fattori determinanti per ridurre le infezioni ospedaliere è limitare l’uso, spesso improprio, degli antibiotici. Nonostante alcune campagne del ministero della Salute, in generale si fa poca informazione sull’uso degli antibiotici”.

Una fotografia sulla situazione europea, secondo il recente report 2016 dell’ECDC (European Center of Disease Control and Prevention), mostra che i Paesi del Centro e del Sud dell’Europa sono quelli a più alta incidenza di germi MDR. Batteri Gram-positivi, come Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA), e Gram negativi, come Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa ed Acinetobacter baumannii resistenti ai carbapenemi, sono le specie di microrganismi MDR che più spesso sono alla base di infezioni ospedaliere gravi e potenzialmente fatali.

Nel nostro Paese la percentuale di MRSA e di Escherichia coli resistenti alle cefalosporine risulta tra il 25% e il 50%.

Ancora più preoccupante è la situazione relativa a Klebsiella pneumoniae, per cui la percentuale di ceppi resistenti alle cefalosporine risulta superiore al 50% e quella di ceppi resistenti ai carbapenemi tra il 25 e il 50%. Allarmante soprattutto il quadro per Acinetobacter baumanii, la cui percentuale di resistenza combinata ad aminoglicosidi, fluorochinoloni e carbapenemi resta superiore al 50%.

Secondo un’indagine presentata la scorsa settimana da Assosalute, l’antibiotico è la prima soluzione per il 15% degli italiani per bloccare l’influenza. Teoria errata, visto che gli antibiotici contrastano i batteri e non i virus, e la loro azione può essere pericolosa per la possibilità di alterare la flora batterica delle prime vie respiratorie, con l’eventualità di favorire una superinfezione da parte di un microrganismo resistente.

“Ancora troppo spesso gli antibiotici vengono utilizzati impropriamente, visto che per curare l’influenza l’antibiotico non serve – ricorda Pierluigi Lo Palco, professore di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Pisa -. Ed è l’utilizzo improprio a far scattare le resistenze batteriche. Per questo è fondamentale vaccinarsi ed è importante che si vaccinino gli operatori sanitari. Insieme a quello per l’influenza, un altro vaccino per cui esistono evidenze molto chiare è quello contro lo Pneumococco, causa di infezioni batteriche molto gravi. L’uso massivo della vaccinazione non solo diminuisce il ricorso agli antibiotici per curare questo tipo di patologie, ma fa sì che vengano sempre più ridotti i ceppi di questo batterio, resistenti agli antibiotici”.

Lo sviluppo di nuovi antibiotici ha aperto nuove possibilità terapeutiche.

La capacità di questi microrganismi di sviluppare meccanismi di resistenza anche nei confronti delle ‘neonate molecole’ rende comunque necessario un approccio multidisciplinare, multiforme e multi-istituzionale. “Per questo – conclude Menichetti – per contrastare efficacemente queste specie di ‘microrganismi intelligenti’ è necessaria non solo la ricerca, per lo sviluppo di nuove molecole che riescano a bypassare i meccanismi di resistenza dei batteri MDR, ma anche e soprattutto strategie di controllo delle infezioni, sorveglianza, buon uso degli antibiotici in ambito ospedaliero e territoriale, formazione, educazione di personale sanitario e dei cittadini anche mediante i nuovi mezzi di comunicazione e il coinvolgimento delle Istituzioni”.

 

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