Il camice bianco era accusato di omissione di atti di ufficio per aver interrotto l’esecuzione di un intervento di safenectomia a causa dell’assenza del secondo chirurgo

Aveva rifiutato di portare a termine l’ intervento di safenectomia destra su una paziente. Il tutto dopo averla sottoposta a procedura anestesiologica ed averle già praticato l’incisione cutanea e sottocutanea propedeutica all’asportazione della vena grande safena. Per tali motivi era stato condannato in primo grado e in appello per il reato di omissione di atti di ufficio. E’ la vicenda di un dirigente medico presso la Divisione di Chirurgia generale di un ospedale salentino.

Il camice bianco, tuttavia, nelle scorse ore ha ottenuto dalla Cassazione l’annullamento senza rinvio della sentenza della Corte di Appello di Lecce perché ‘il fatto non sussiste’.

Per i giudici di merito, il ricorrente si era rifiutato di proseguire l’intervento in considerazione dell’assenza del secondo chirurgo. Quest’ultimo, la cui presenza risultava tanto più necessaria in considerazione delle concrete indiscusse condizioni fisiche della paziente, non  era intervenuto tempestivamente neanche dopo l’inizio dell’operazione.

La Corte territoriale aveva addebitato al ricorrente “l’impazienza nell’attesa del secondo operatore”.

Per il Giudice a quo egli aveva dato “illecita prevalenza alle sue doglianze rispetto alle ragioni di salute della paziente da operare”. La donna, quindi, era stata esposta ai disagi derivanti da un successivo intervento.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 24952/2018, ha invece ritenuto illegittima tale argomentazione.

Per gli Ermellini, infatti, era stata completamente omessa la considerazione della ragione, primaria e assolutamente cogente, di operare in condizioni di sicurezza. Inoltre, l’accusa all’imputato di aver violato il dovere di attendere l’intervento del collega in sala operatoria, era del tutto arbitraria. Il secondo chirurgo avrebbe dovuto assicurare la sua presenza sin dall’inizio dell’ intervento di safenectomia, essendo necessario evitare alla paziente una possibile emorragia. Ma dopo venti minuti non si era ancora presentato.

Ancora, gli stessi Giudici del merito avevano affermato la ‘comprensibilità’ delle doglianze del ricorrente per essere stato ‘abbandonato’ in sala operatoria dai colleghi. Tuttavia, secondo la Cassazione, avevano relegato “inopinatamente siffatto accertamento all’eccentrico tema delle circostanze generiche”, quando invece si trattava della causa determinante la condotta del ricorrente.

Infine, la Corte di Appello non aveva fatto alcuna considerazione in ordine all’indifferibilità dell’atto rifiutato, della quale non c’era traccia nella stessa contestazione. Così come non vi era alcun riferimento “rispetto alla incontestata natura elettiva dell’intervento chirurgico in ordine al quale nessuna urgenza è stata neanche prospettata e che, certamente, non si giustifica con il disagio della paziente per il successivo intervento”. Secondo i Giudici del Palazzaccio, dunque, mancava l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato contestato.

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