Se dagli accertamenti tecnici l’operazione risulta non adeguata alle condizioni cliniche del paziente si configura una condotta della struttura di inesatto adempimento dell’obbligazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, la n. 12597/17, si è pronunciata sul ricorso presentato da una donna che si era rivolta ad una Casa di Cura per un intervento chirurgico di ‘stabilizzazione della spalla sinistra’. La paziente lamentava di non aver tratto alcun giovamento da tale trattamento, anzi accusava un aggravamento della propria situazione.
La richiesta di risarcimento nei confronti della struttura sanitaria era stata rigettata sia in primo grado di giudizio che in appello. Di qui la decisione della signora di rivolgersi alla Suprema Corte per chiedere l’annullamento della pronuncia dei Giudici di merito. A suo avviso, infatti, la Corte territoriale non aveva adeguatamente tenuto in considerazione l’esito dell’intervento chirurgico, che avrebbe dovuto senz’altro provare l’inadempimento del medico; questi non avrebbe diligentemente eseguito la propria prestazione con conseguente risoluzione del contratto. Inoltre, la ricorrente sottolineava come al danno strettamente fisico, andava aggiunto anche il danno psichico determinato della “delusione provata per l’intervento subito, privo di efficacia”.
Gli Ermellini, hanno effettivamente ritenuto di accogliere le argomentazioni proposte, in quanto fondate, rinviando la causa alla Corte di appello per una nuova pronuncia. Secondo i Giudici del Palazzaccio, infatti, in secondo grado di giudizio non erano stati correttamente applicati i principi in materia di responsabilità sanitaria. In tale sede era stato accertato che, anche se l’intervento era stato eseguito correttamente, lo stesso non era risultato adeguato alle condizioni cliniche della paziente, la quale avrebbe dovuto essere sottoposta ad un trattamento della spalla, in preparazione dell’intervento chirurgico, oltre che a una terapia riabilitativa dopo l’intervento, necessaria per il successo dell’intervento stesso ma che non era mai stata prescritta.
Secondo la Cassazione, quindi, “qualora un intervento operatorio, sebbene eseguito in modo conforme alla lex artis e non determinativo di un peggioramento della condizione patologica che doveva rimuovere, risulti, all’esito degli accertamenti tecnici effettuati, del tutto inutile, ove tale inutilità sia stata conseguente all’omissione da parte della struttura sanitaria dell’esecuzione dei trattamenti preparatori a quella dell’intervento, necessari, sempre secondo la lex artis, per assicurarne l’esito positivo, nonché dell’esecuzione o prescrizione dei necessari trattamenti sanitari successivi, si configura una condotta della struttura che risulta di inesatto adempimento dell’obbligazione”.
Tale obbligazione, “per il fatto che l’intervento si è concretato in un’ingerenza inutile sulla sfera psico-fisica della persona, si connota come danno evento, cioè lesione ingiustificata di quella sfera, cui consegue un danno conseguenza alla persona di natura non patrimoniale, ravvisabile sia nella limitazione e nella sofferenza sofferta per il tempo occorso per le fasi preparatorie, di esecuzione e post-operatorie dell’intervento, sia nella sofferenza ricollegabile alla successiva percezione dell’inutilità dell’intervento”.

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