Al Policlinico San Donato i cardiologi e i cardiochirurghi pediatrici hanno coinvolto i colleghi della cardiologia interventistica per adulti trovando una soluzione che non ha simili nella letteratura medica

Un caso di cui, in letteratura medica, non si trovano simili. E’ la storia di un bambino di quattro anni tornato in salute grazie a uno stent coronarico, una delle procedure più diffuse per gli adulti nei paesi occidentali ma rarissima nei minorenni e mai effettuata in così tenera età e in condizioni così rischiose per la vita.
Il bimbo, nato prematuramente alla 28a settimana con un peso di appena 800 grammi, dopo la terapia intensiva neonatale si era rimesso in forze crescendo bene, ma negli ultimi mesi aveva cominciato a mostrare affaticamento durante i giochi e a lamentare un forte dolore in mezzo al petto durante gli sforzi, oltre a presentare, sempre più spesso, labbra dal colore bluastro.
La famiglia, preoccupata, lo porta al Policlinico San Donato, dove al piccolo, seguito dal cardiologo pediatra Gianfranco Butera, viene riscontrato un quadro clinico piuttosto raro caratterizzato da una cardiopatia congenita a cui si è associata un’importante ipertensione polmonare, che limita la vita quotidiana del bambino.
La saturazione d’ossigeno del paziente è bassa e l’ecodoppler mostra due difetti interatriali – due piccole aperture, di 11 e di 5 millimetri, nella parete che divide le due camere cardiache. Al difetto interatriale si associa un prolasso della valvola mitralica. Giorno dopo giorno, queste malformazioni hanno messo a dura prova il suo cuore: il ventricolo destro, sovraccaricato dal volume di sangue, ha perso la sua forma originaria e la sua capacità contrattile. È aumentata la pressione a livello dei polmoni e si è fatta strada l’ipertensione polmonare, una complicanza severa e rara in un bambino.
Ad aggravare ulteriormente le cose arriva il risultato del cateterismo cardiaco – l’esame che introduce delle sonde sottilissime e flessibili all’interno del cuore per studiarne accuratamente l’anatomia – effettuato prima della chirurgia per la correzione delle malformazioni. L’esame evidenzia una stenosi critica del primo tratto della coronaria sinistra: non solo il calibro della coronaria è gravemente ridotto, ma forma anche un angolo innaturale e strettissimo, detto ‘a becco di flauto’, che fa sì che sotto sforzo la coronaria si chiuda completamente.
Il bambino viene sottoposto a un primo intervento di cardiochirurgia per riparare la valvola mitralica, chiudere i fori tra gli atrii ed effettuare un bypass della coronaria sinistra, grazie all’arteria mammaria, ma, quando alla fine dell’operazione viene scollegato dalla macchina cuore-polmone, il suo cuore non ce la fa: la sua funzione di pompa è troppo compromessa per sostenere la circolazione. Il piccolo viene allora collegato all’ECMO (ossigenazione extracorporea), una tecnologia in grado di sostituire l’attività di cuore e polmoni, un supporto vitale che permette di guadagnare tempo prezioso per una nuova strategia.
È a questo punto che si tenta un uso non standard di uno stent medicato. Gianfranco Butera e Federico De Marco, cardiologo interventista, operano quindi insieme, unendo le loro competenze per cercare di riportare un buon flusso nella coronaria sinistra, riaprendola con lo stent e risolvendo la malformazione ‘a becco di flauto’.
“Non ho mai trattato un paziente così piccolo e il suo caso ci aveva coinvolti tutti moltissimo – ha affermato De Marco – Un’emozione indescrivibile in sala operatoria quel giorno. Appena l’arteria si è riaperta e abbiamo visto che lo stent funzionava, la tensione si è sciolta in un applauso e in molta commozione”. Il piccolo paziente è stato lentamente ‘svezzato’ dall’ECMO, per poi passare in terapia intensiva e, dopo 15 giorni, in reparto. Oggi è casa, sta bene e deve seguire una terapia antiaggregante, che durerà circa un anno.

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