È indubbio: nel caso di contenzioso in ambito sanitario, la possibilità per il Curante di impostare una adeguata difesa della propria attività passa attraverso l’analisi della documentazione che attesti la bontà del proprio operato clinico.

L’accurata redazione della cartella clinica e, analiticamente, della documentazione che andrà a comporla, rappresenta, in primis, un’esigenza clinica atta a garantire una piena presa in carico del paziente e delle sue necessità, essenza della professione medica ed odontoiatrica.

La documentazione clinica rappresenta uno strumento indispensabile al trattamento sanitario e un mezzo di raccolta di dati ed informazioni nell’interesse sia del medico che del paziente. All’occorrenza, però, essa sarà utilizzata anche a beneficio di Enti di assistenza sanitaria e amministrazioni pubbliche, compresa quella giudiziaria.

In ambito pubblico la compilazione e conservazione della cartella clinica è normata da precise leggi e regolamenti, anche a tutela dei dati sensibili in essa contenuti.

Non esistono di fatto precise disposizioni circa la regolare compilazione tecnica della cartella clinica, ma la logica vuole che sia precisa, chiara e diligentemente compilata.

Le generalità complete del paziente devono essere riportate con estrema precisione, anche al fine di evitare scambi di persona ed errori.

Sarebbe opportuno ritrovare in cartella, oltre a dati anamnestici familiari e personali, indicazioni sullo stato anteriore di salute generale ed orale del paziente, sulle condizioni cliniche del paziente alla visita (segni e sintomi, soggettività ed obiettività), sulla patologia diagnosticata, sul decorso clinico della malattia, sulla terapia effettuata e sui suoi esiti.

Uguale, se non maggiore, precisione si richiede ai registri di Sala Operatoria ed al diario Operatorio.

Diverse sono le modalità di raccolta e conservazione dalla documentazione clinica (cartacea, informatica); di fatto tale elemento ai fini pratici risulta irrilevante purché la stessa non risulti artefatta o alterata. In ambito odontoiatrico la cartella clinica classica o meglio “il fascicolo clinico” rappresenta una raccolta organizzata di dati anamnestici, sintomi soggettivi, segni obiettivi, diagnosi, orientamenti e alternative terapeutiche, piani di trattamento scelti, consensi, fotografie, modelli in gesso, esami strumentali e radiografici, tracciati cefalometrici, dichiarazioni di conformità, simulazioni computerizzate sui risultati ottenibili, diario clinico con descrizione delle terapie effettuate e degli operatori/esecutori, esiti e postumi nonché dati amministrativi e contabili.

Come accennato, non esiste una reale definizione giuridica della Cartella clinica.

In ambito pubblico, ove, peraltro, anche sotto forma di semplice diario o referto (a livello ambulatoriale) rappresenta un preciso obbligo per il professionista, è considerata un atto pubblico vero e proprio, munito di fede privilegiata (fa fede fino a prova di falso), o un’attestazione equiparabile ad una certificazione amministrativa. Un’eventuale omissione configurerebbe un’omissione di atti d’ufficio, reato di rilevanza penale, cosi come l’evidenza di dati errati (falso materiale) o di informazioni non veritiere (falso ideologico). Non a caso il medico pubblico o ospedaliero è un pubblico ufficiale che con tale documento comprova e certifica gli estremi di un rapporto di cura. In qualità di atto pubblico, amministrativo-­ sanitario, la cartella clinica deve riportare dati oggettivi in merito alla cronologia, alle annotazioni cliniche, a tutti gli interventi eseguiti, consigliati e prescritti, ai nomi degli operatori, agli esiti  ed ai postumi.

Il contenuto della cartella clinica è riservato e tutelato dal DL 196/2003. È diritto del paziente prendere visione e/o avere copia integrale di quanto contenuto nella cartella. Tale rilascio  può avvenire anche a fronte di richiesta di familiari autorizzati, Autorità Giudiziarie ed altri Enti Pubblici Autorizzati. È nota l’importanza documentativa medico-­legale della Cartella clinica al fine di redigere consulenze tecniche o perizie. In ambito pubblico cartelle e referti andrebbero conservati illimitatamente (è consentita la digitalizzazione dei documenti).

Gli eventuali radiogrammi possono essere eliminati dopo 30 anni .

In ambito privatistico la cartella clinica e la documentazione clinica in generale non sono un obbligo di legge; la loro redazione e la conservazione rappresentano, in ogni caso, elementi di condotta diligente e perita, dato considerato sempre con favore dai Giudici.

Una corretta e diligente documentazione dell’attività svolta testimonia una condotta professionale attenta e risulta utile sia ai fini clinici (ricordare e rammentare i dati essenziali del rapporto di cura, compresa la diligenza e la compliance del paziente), sia ai fini medico-­legali (difendibilità): essa testimonia quanto accaduto, lo stato anteriore e le evoluzioni, le problematiche incontrate, i risultati ottenuti. Anche in ambito privato la definizione  di  cartella è limitativo: di fatto è un fascicolo che raccoglie tutto l’insieme degli elementi documentali del rapporto di cura, dagli atti amministrativi (preventivi di spesa e relativa accettazione, consensi alle cure, fatture, prescrizioni, dichiarazioni di conformità ecc.) a quelli strettamente clinici (dati anamnestici, segni e sintomi, diario clinico, indagini strumentali e radiografiche, diagnosi, modelli, tracciati cefalometrici, fotografie, simulazioni di terapie, certificazioni, prescrizioni, ecc.). Rappresenta una gestione documentata del rapporto con il paziente, indica la qualità delle prestazioni erogate e permette un’adeguata difendibilità delle stesse, all’occorrenza.

Ovviamente, una diligente tenuta della cartella clinica non mette al riparo dal contenzioso o dagli errori e non esclude le responsabilità, ma aiuta un’efficace prevenzione e gestione del rapporto di cura e della lite. Essa indica l’appropriatezza o meno di quanto eseguito e  favorisce una rivisitazione critica del proprio operato: partendo dal primo atto del rapporto di cura e cioè dalla prima visita (atto clinico di grande impegno professionale), ripercorre  l’intero iter terapeutico e i suoi esiti e ne permette una rielaborazione critica, attesta percorsi condivisi, scelte  e compromessi.

A posteriori, senza di essa, potrebbe essere problematico rammentare e dimostrare quanto è accaduto nel tempo e cercare di comprenderne le cause.

Molteplici fattori influenzano e condizionano le scelte terapeutiche, non ultime la compliance  o la cooperazione del paziente: attestare e documentare aiuta a prevenire incomprensioni e/o cattiva fede e rappresenta un buon incentivo a non omettere (volontariamente o meno) o dimenticare dati ed eventi di rilevante importanza.

Gli ortodontisti hanno insegnato molto al riguardo: per primi hanno realizzato e conservato radiogrammi, fotografie, tracciati e modelli, al fine di poter seguire efficacemente il decorso clinico nel contesto di una terapia in soggetti in crescita. È difficile prevedere in assoluto i processi di crescita e rapportarsi con pazienti non sempre disposti a cooperare, ma ancora  più complesso può risultare il rapporto con i genitori e/o i tutori dei piccoli pazienti. I lunghi tempi di intervento, la necessità di periodi di osservazione e attesa, la necessità di compliance e di diligente adempimento di prescrizioni, controlli e monitoraggio a distanza complicano il quadro. Documentare serve soprattutto a monitorare l’andamento della terapia, ma anche a spiegare modifiche del programma terapeutico o eventuali sospensioni (anche a causa di cattiva manutenzione igienica domiciliare). Tutto ciò, se non ben documentato, rischia di perdersi nella memoria.

La valida compilazione e conservazione della documentazione clinica non deve essere considerata una forma di odontoiatria difensiva, ma una operatività diligente a tutela della salute del paziente e nel contempo dell’operato del medico.

Documentare correttamente significa anche attestare l’atto negoziale che conduce al contratto di cura, atto in cui ciascuna parte si è assunta obblighi, oneri e benefici e che definisce  l’oggetto del rapporto, (art.1176 cc) in modo particolare se di natura estetica. Non esistono limiti o veti: chiaramente tali elementi condizionano le aspettative e le obbligazioni che ciascuno si assume.

Il dato certo è che le statistiche relative al contenzioso odontoiatrico indicano percentuali di soccombenza elevate, a fronte di un’odontoiatria mediamente considerata di alto valore nel nostro Paese.

Difficilmente i clinici documentano lo stato anteriore, la condizione di partenza, fattore, questo, che condiziona, in misura variabile, gli esiti delle prestazioni erogate e, se gravemente deteriorato, potrebbe rappresentare motivo di delimitazione di responsabilità del prestatore d’opera (art.2236 cc). Il richiamo all’articolo 2236 risulta oggi generalmente inefficace, sorpassato, ma rammentarlo in questa sede dimostra come anche i giuristi si rendano conto dell’influenza che lo stato anteriore ha sulle scelte terapeutiche e i loro esiti. Parimenti, una documentata co-responsabilità del paziente potrebbe condurre a ridefinizioni della condotta colposa del professionista. (art. 1227 cc)

In assenza di dati documentali può essere difficoltoso distinguere il peso del comportamento iatrogeno, o presunto tale, dalla importanza, nel caso di specie, della componente genetica o di quanto la scarsa collaborazione del paziente possa avere avuto un ruolo nel determinare o nel concorrere all’evoluzione di una patologia o della mancanza di esiti positivi .

Una corretta gestione e conservazione della documentazione può aiutare soprattutto laddove vi siano intenti speculativi, anche a fronte di compromessi efficaci e condivisi o di espliciti dissensi; nel contempo aiuta a riconoscere eventuali errori e facilita, all’occorrenza, soluzioni transattive; non ultimo, nel contesto di una responsabilità contrattuale, permette al professionista di dimostrare la propria estraneità ad ipotesi causative del danno o dell’inadempimento.

Elemento di grande importanza nella composizione della cartella clinica è rappresentato dal diario clinico: esso, auspicabilmente, dovrebbe risultare chiaro, semplice, leggibile, veritiero, identificare chiaramente il paziente e chi è intervenuto come curante, quando e con quali terapie. Non vanno dimenticati eventuali riferimenti a convenzioni o autorizzazioni specifiche. Anche in ambito privatistico è diritto del paziente prendere visione e/o avere copia integrale di quanto contenuto nella cartella e rientrare in possesso di esiti di indagini strumentali, referti e radiogrammi. Similarmente le stesse richieste possono essere avanzate da familiari autorizzati, Autorità Giudiziarie ed altri Enti Pubblici Autorizzati .

Si consiglia di documentare (firma di apposita dichiarazione) la restituzione e la consegna della documentazione richiesta, mantenendone tuttavia copia al fine di tutelare il proprio diritto di difesa. Norma e buon senso impongono di non alterare il contenuto dei documenti.

La Cassazione Civile Sez. III con la sentenza n.364 del 15 gennaio1997, ha stabilito che : “Fondamentale è poter individuare nella cartella clinica tutto quello che è indispensabile per la verifica del caso specifico. La mancanza di elementi significativi nella cartella clinica riguardo all’operato del sanitario viene visto come impossibilità da parte del medico di dare una giustificazione del suo operato.” (Inversione dell’onere della prova).

In ambito privatistico non esistono norme che indichino i termini di conservazione della documentazione clinica: il buon senso consiglia di mantenere la stessa per almeno 10 anni o, in caso di problematiche pratiche, di conservarne copia digitalizzata (preferibilmente con attestazione di non alterabilità). E’ necessario documentare e/o denunciare alterazioni, smarrimenti, furti o distruzione della documentazione a causa di eventi imprevedibili (allagamenti, ecc.). L’eventuale distruzione postuma della documentazione deve avvenire nel rispetto del DL 196/2003.

Anche una cartella privatistica può rivestire interesse nell’ambito di procedimenti penali (ad esempio nella traumatologia da lesioni personali o abusi): in questo caso sarebbe auspicabile rigidità e correttezza nell’identificazione della tipologia di lesioni riscontrate e nella durata della malattia. Questi elementi hanno, parimenti, grande rilievo nel contesto delle certificazioni. In ambito civilistico gli stessi dati possono influenzare la monetizzazione dei risarcimenti o degli indennizzi.

 Maria Sofia Rini – Marco Brady Bucci

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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  6. 2236 cc Responsabilità del prestatore d’opera: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave
  7. 1227 cc Concorso del fatto colposo del creditore: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.”(vedi anche art 2056 e seg.)
  1. Ricci Albergotti G, Tecniche probatorie, perizie e consulenze in responsabilità medica in campo penale e civile. In Aggiornamento Intensivo in Odontoiatria Legale-­‐ Attuali orientamenti clinici, etici, normativi, giurisprudenziali medico-­‐legali , -­‐ Bologna 17-­‐18 gennaio 2014 – Odonto Consulence  srl
  2. civ. n.364 del 15/01/1997 Sez. III
  3. 1218 cc Responsabilità del debitore. “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.”
  4. Nuzzolese E. Maltrattamento e trascuratezza dei minori. Wip Edizioni; Bari: 2015.

 

 

 

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