L’inadempimento. Nozione e distinzione tra inadempimento imputabile, fonte di responsabilità contrattuale e inadempimento non imputabile, causa di esonero del debitore da responsabilità e fatto estintivo dell’obbligazione. Il fondamento della responsabilità da inadempimento. La teoria oggettiva. La teoria soggettiva. La tesi mediana. La posizione della giurisprudenza. I rimedi all’inadempimento. La responsabilità è, in linea generale, la sanzione per l’inosservanza di un dovere giuridico. L’area della responsabilità del debitore è regolata dall’art. 1218 c.c. che eccede l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali.

Nelle decisioni giurisprudenziali, i confini della responsabilità contrattuale rispetto alla responsabilità aquiliana non sempre sono individuabili in modo univoco.

La responsabilità contrattuale o da inadempimento si distingue dalla responsabilità extracontrattuale o aquiliana a seconda del dovere giuridico violato. Incorre in responsabilità aquiliana il soggetto che viola il dovere generico di non ledere l’altrui sfera giuridica (neminem laedere), dovere che ciascuno è tenuto a rispettare nei confronti della generalità dei consociati. La responsabilità contrattuale deriva, invece, dalla violazione di un obbligo specifico – e qualunque sia la sua fonte – contratto, illecito o altro fatto idonei.

Sono dunque assai diverse le ragioni dell’antigiuridicità.

Mentre nella responsabilità contrattuale si crea un vincolo obbligatorio per il risarcimento del danno che discende dalla violazione di un obbligo preesistente (c.d. perpetuatio obligationis), la responsabilità aquiliana sanziona i comportamenti illeciti che incidono nella sfera giuridica di soggetti cui l’agente non solo riparatoria, ma anche preventiva e sanzionatoria.

Esaminati molto brevemente i rapporti tra responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana   occorre chiarire quali sono i criteri di imputazione della responsabilità contrattuale.

La norma fondamentale al riguardo è quella di cui all’art. 1218 c.c. secondo cui “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

L’art. 1218 contiene la regola generale in materia di responsabilità del debitore, preferibilmente definita “contrattuale” dalla dottrina per il prevalere delle obbligazioni derivanti da contratto, ancorché più esattamente deve parlarsi di responsabilità da inadempimento dell’obbligazione, quale che sia la sua fonte ( art. 1173 c.c.).

Il legislatore ha tentato di riassumere in una disciplina uniforme una casistica molto varia a causa della diversa natura dei contratti e dei diversi modi di inadempimento.

Presupposto dell’inadempimento è l’esistenza di un’obbligazione, in senso tecnico, in forza della quale un soggetto, detto debitore, è tenuto a eseguire una determinata prestazione in favore di un soggetto, detto creditore.

Ai sensi dell’art. 1218 c.c. l’inadempimento, l’adempimento inesatto, il ritardo qualificato (mora debendi) obbligano il debitore a risarcire i danni causati al creditore.

Il debitore deve risarcire questi danni solo fino al limite della possibilità di adempiere e anche al di là di questo limite se l’impossibilità è dovuta ad una causa a lui non imputabile.

In altri termini, posto che per inadempimento si intende la mancata esecuzione della prestazione nel tempo e nel luogo dovuto e secondo le modalità convenute, il mancato o inesatto adempimento può dipendere da cause imputabili al debitore; nel qual caso costui è tenuto a risarcire il danno al creditore; ovvero da cause non imputabili nel qual caso il debitore è esonerato da responsabilità e l’obbligazione si estingue per impossibilità sopravvenuta (1256 c.c.).

Controversi in dottrina e giurisprudenza sia il fondamento che i limiti della responsabilità contrattuale.

Il problema nasce da un’apparente antinomia tra il criterio di imputazione sancito nell’art. 1218 c.c. ed il canone di diligenza di cui all’art. 1176 c.c. Quest’ultimo prevede una norma di condotta per cui adempie bene il debitore chi si comporta diligentemente.

Il 1218 c.c. impone una prova più difficile e cioè che l’inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile.

Il codice civile del 1942 al fine di assicurare una maggior sicurezza ai traffici economici ha accolto nell’articolo appena citato una concezione rigidamente oggettiva della responsabilità contrattuale, aderendo così alla teoria di G. Osti per cui l’inadempimento sussiste per il solo che la prestazione dovuta sia rimasta ineseguita.

Il debitore può liberarsi da  responsabilità solo provando l’oggettiva impossibilità della prestazione.

L’art. 1176 prevede soltanto una regola di condotta per cui dolo o colpa attengono alla imputazione dell’impossibilità sopravvenute e non già direttamente all’inadempimento.

L’art.1176, 1° co. fornisce l’ambito e la portata degli obblighi assunti, precisa e definisce il contenuto delle obbligazioni non sufficientemente determinate; segnatamente quelle di mezzi. Il secondo co. dell’art. 1176, con riferimento alla attività professionale, consente di ricostruire o di valutare il contenuto delle prestazioni svolte dal debitore soprattutto sotto il profilo dell’esattezza dell’adempimento. Questo vale in particolare per le obbligazioni di fare.

Il debitore inadempiente del 1218 c.c. può, nel riferimento alla diligenza, trovare il criterio per ricostruire la tipologia, la portata, lo stesso contenuto della prestazione cui si è obbligato, col risultato di poter delimitare anche gli eventuali confini di esigibilità della prestazione.

L’impossibilità è assoluta quando l’impedimento non può essere rimosso con nessuna intensità di sforzo; è oggettiva quando riguarda la prestazione in sé considerata.

Deve risultare impossibile per chiunque eseguire quella prestazione e non solo per il debitore.

L’impossibilità di cui all’art. 1218 c.c. va intesa in senso oggettivo e assoluto e la causa non imputabile deve consistere in un impedimento estraneo, sempre sul piano oggettivo, alla sfera del debitore, cioè tale che egli non avrebbe potuto in alcun modo prevedere e controllare.

L’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale hanno ricercato la tipizzazione della invincibilità ed inevitabilità individuandola nel caso fortuito e forza maggiore, la vis major cui resisti non potest ovvero l’evento fisico-naturale, come il ponte crollato con consegne urgenti, oppure nel fatto del terzo, come a causa di scioperi, od infine per decisione imperativa dell’autorità; c.d. factum principis, come nel caso di epidemia e la vendita di carni.

La responsabilità è fondata sulla colpa, secondo la teoria soggettiva. L’art. 1218 c.c., in base alla miglior dottrina (Natoli) non precisa la misura dell’impossibilità scriminante che spetta all’interprete, per determinarsi utilizza l’art. 1176 c.c. con il principio del “buon padre di famiglia”  perché altrimenti dovrebbe superarlo con un impegno superiore a quello richiesto.

Il combinato disposto consente di escludere siffatta impossibilità non imputabile che costituisce il limite della responsabilità debitoria.

Dalla incolpevolezza si ha l’impossibilità soggettiva e relativa per cui il debitore non dovrà neppure indicare e provare lo specifico impedimento: l’art. 2727 c.c. consente al giudice di risalire ad un fatto ignoto da uno noto.

A parere dei sostenitori della tesi mediana il limite della teoria soggettiva è quello di porsi in antitesi con una concezione oggettiva di inadempimento cui il legislatore ha ispirato la norma del 1218 c.c. secondo i lavori preparatori del codice. La teoria oggettiva  mostra eccessivo rigore nel pretendere la prova liberatoria su un’impossibilità della prestazione oggettiva e assoluta.

La tesi mediana, sostenuta dalla dottrina prevalente (Bianca), è favorevole ad una interpretazione più ampia della prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c. per cui il requisito della impossibilità della prestazione vada inteso in senso soggettivo e relativo in modo da rendere inesigibile, secondo buona fede, la prestazione alle condizioni originarie.

La giurisprudenza motiva con riferimento al caso concreto con il ricorso frequente alla buona fede, alla diligenza ed ai principi costituzionali od al concetto di inesigibilità della prestazione.

Il dibattito tra teoria oggettiva e soggettiva è un falso problema perché entrambe le teorie conducono a soluzioni identiche così come per le eccezioni ed i temperamenti.

La colpa contrattuale deve essere valutata in base ad un criterio rigorosamente oggettivo, commisurato all’uomo medio che va inteso in relazione alla categoria di persone cui l’agente appartiene. Il criterio soggettivo torna però operante quando l’agente sia dotato di capacità e qualità superiori alla media.

La materia della responsabilità contrattuale si presenta come un sistema aperto, un diritto di prevalente creazione giurisprudenziale, che pertanto richiede necessariamente un metodo analitico-casistico di indagine.

Dott. Vincenzo Caruso

Assistenza Legale
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