Il caso affrontato nella sentenza oggetto di questa disamina si caratterizza per la sua particolare delicatezza e singolarità, sia per quanto concerne gli aspetti prettamente umanitari della vicenda, sia per quanto concerne gli aspetti giuridici della medesima.

La vicenda riguarda purtroppo un neonato che, in ragione di un comportamento colposo (rectius: imperito) della ginecologa, ha patito lesioni personali gravissime, consistite nella perdita della funzionalità della mano destra.

E’ doveroso, innanzitutto, premettere che chi scrive ha letto solamente la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione (sez. pen. 18780/16), pubblicata su internet, senza, pertanto, avere alcuna contezza in merito all’integrale (e sicuramente abbastanza corposo) fascicolo processuale.

Orbene, il caso è quello di una ginecologa e dell’infermiere ostetrico i quali venivano condannati sia in primo grado che in Appello, ritenendo l’Autorità Giudiziaria che vi fosse – nella fattispecie in esame – un comportamento colposo, in concorso, tra i due imputati.

La Corte di Cassazione, però, in riforma della pronuncia della Corte territoriale, emetteva sentenza di proscioglimento nei confronti di entrambi gli imputati, senza pertanto rinviare ad altra sezione della Corte di Appello, con due diverse formule: infatti, l’ostetrico veniva assolto per non aver commesso il fatto, la ginecologa, invece, per intervenuta prescrizione dell’addebito.

Ebbene, ma quale è stato l’iter logico-giuridico seguito dagli Ermellini, nella fattispecie in esame, tale non solo da capovolgere le precedenti sentenze del Tribunale e della Corte di Appello, ma anche da giungere a due differenti formule di proscioglimento?

Innanzitutto, il Collegio della Suprema Corte, richiamando precedenti pronunce, ha ribadito i principi di diritto, relativi alla responsabilità penale dei singoli componenti di una equipe medica.

In particolare, asseriscono i Giudici di Legittimità che, in presenza di un evento lesivo ai danni di un paziente, è illegittimo affermare la penale responsabilità dell’intera equipe di sanitari, risultando, per contro, opportuno valutare con adeguata ponderatezza le singole mansioni svolte da ciascun medico, affermando, pertanto, testualmente, tra l’altro, che “…la responsabilità penale di ciascun componente di una èquipe medica per un evento lesivo occorso al paziente sottoposto ad intervento chirurgico non può essere affermata sulla base dell’accertamento di un errore diagnostico genericamente attribuito alla èquipe nel suo complesso, ma va legata alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente, nella prospettiva di verifica, in concreto, dei limiti oltre che del suo operato, anche di quello degli altri…”.

Si tratta, dunque, di un principio di diritto oramai consolidato, espresso in passato dalla Sezione quarta della Suprema Corte, nella sentenza pronunciata il 9 aprile 2009 e individuata dal numero 19755.

Ancora, nella motivazione della sentenza oggetto della mia disamina, i Giudici di Legittimità chiariscono, sul punto, che il nesso di causalità tra la condotta lesiva e l’evento dannoso, nelle ipotesi in cui alla cura del paziente concorrano più medici, va accertato tenendo conto delle mansioni e delle condotte, poste in essere da ciascun sanitario.

Ne consegue, dunque, che è illegittimo affermare una “responsabilità di gruppo”, sol perché trattasi di un equipe di medici.

Orbene, partendo da tale consolidato principio di diritto, la Suprema Corte ha ritenuto che, nella fattispecie in esame, l’evento lesivo a danno del neonato fosse ascrivibile alla non corretta esecuzione della c.d. manovra di Mac Roberts, la quale era stata compiuta dalla ginecologa.

Infatti, si legge nel testo del provvedimento esaminato che il c.d. campanello di allarme, consistito nella alterazione del tracciato cardiotocografico, tale da far ritenere l’insorgenza di complicanze nel parto, così come si evince dalla lettura degli orari riportati nella cartella clinica (documento acquisito al fascicolo del dibattimento), avesse “suonato” in un lasso temporale in cui la ginecologa era presente in sala parto.

In ragione di ciò, la condotta posta in essere dalla imputata ginecologa è stata definita imperita, alla luce anche delle linee guida espresse dalla Legge Balduzzi, in quanto era lei che, in presenza di una situazione di pericolo, doveva effettuare la manovra di Mac Roberts: operazione che effettivamente fu svolta, ma in maniera errata e tale, dunque, da cagionare al nascituro la perdita della funzionalità della mano destra.

Ebbene, alla luce di tali presupposti fattuali in uno ai principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte ed altresì consolidati in materia di responsabilità dell’equipe medica, non è possibile ascrivere alcuna condotta penalmente rilevante all’infermiere ostetrico, in quanto per tutto il lasso temporale in cui il medesimo si trovava in sala parto, alcuna problematica era stata riscontrata.

L’alterazione del tracciato cardiotocografico è avvenuto in un orario in cui in sala parto era presente la ginecologa e, pertanto, era lei il medico deputato a decidere quale prassi adottare.

Dunque, affermano gli Ermellini che, nella vicenda in esame, la ginecologa ha assunto una condotta imperita poiché non ha saputo governare una situazione di urgenza: infatti, da un lato si è rivelata imperita la decisione di non praticare il parto cesareo (sul punto è doveroso rappresentare a chi legge che tale condotta omissiva non è stata oggetto di alcuna contestazione da parte della Procura Inquirente), dall’altro è stata imperita la manovra di fuoriuscita del nascituro, la quale è stata posta in essere in maniera errata, con la nefasta conseguenza che ne è discesa.

Quindi, a dispetto di quanto affermato sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello, entrambi gli imputati vanno prosciolti, ma con due formule diverse: l’infermiere ostetrico, per non aver commesso il fatto, la ginecologa, per intervenuta prescrizione.

In conclusione, ritengo che questa sentenza sia espressione di un principio oramai consolidato e che, se correttamente applicato dalla Autorità Giudiziaria, consentirebbe di evitare la celebrazione di lunghi ed inutili processi.

I medici, infatti, operano in equipe, ognuno ha le proprie competenze professionali e le proprie mansioni nel corso di un intervento.

Pertanto, è giusto per il paziente danneggiato – poiché espressione di senso di giustizia – che “paghi” chi ha assunto una condotta colposa, commissiva ovvero omissiva.

Mi permetto, ora, concludere con una domanda squisitamente pratica, alla luce della mia assidua “frequentazione” delle aule di giustizia, ponendomi dal lato della persona offesa: rinviare a giudizio un’intera equipe di medici, per dimostrare in dibattimento chi di costoro ha assunto la condotta penalmente rilevante, a chi pregiudica?

La risposta ci è stata data anche dalla sentenza oggetto della mia disamina, che – si ribadisce – ha prosciolto entrambi gli imputati, con due formule di assoluzione diverse: l’infermiere ostetrico per non aver commesso il fatto, la ginecologa perché era maturato il termine di prescrizione del reato (ergo, il fatto lo ha commesso!!).

E qui si è trattato solo di due imputati, figuriamoci nei processi dove vengono rinviati a giudizio più e più medici.

 

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

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