Il lavoratore part time ha diritto a usufruire dei permessi riconosciuti dalla Legge 104? La sezione lavoro della Cassazione ha fatto chiarezza in proposito.

Sulla questione relativa a lavoro part time e Legge 104, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, si è espressa con la sentenza n. 4069/2018, fornendo dei chiarimenti.

Per i giudici, infatti, anche al lavoratore che osserva un orario di lavoro part-time (verticale) va riconosciuto il diritto a usufruire dei tre giorni di permesso al mese. Questi sono riconosciuti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104/1992.

Inoltre, gli va riconosciuto anche il correlato diritto a percepire la relativa indennità a carico dell’Inps.

La misura, infatti, non è comprimibile e va riconosciuta in maniera analoga a quella del lavoratore a tempo pieno.

Questo poiché ha la finalità di tutelare la salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’art. 32 Cost., sia come singolo che nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.).

Un caso emblematico in merito a lavoro part time e Legge 104 è quello della vicenda in esame.

l’Inps – insieme alla datrice di lavoro – ha fatto ricorso contro la sentenza che aveva riconosciuto il diritto di una dipendente di Poste Italiane, con orario part-time verticale, a usufruire dei tre giorni al mese ex art 33, comma 3, L. n. 104/1992 e a percepire la relativa indennità a carico dell’Istituto.

La lavoratrice aveva lamentato in sede di merito come il datore di lavoro avesse riproporzionato, in considerazione del part-time verticale, da tre a due il numero di giorni di permesso mensili spettanti.

E questo sebbene, già con precedente sentenza passata in giudicato, il Tribunale avesse riconosciuto il suo diritto a fruire di tre giorni. In quell’occasione c’era stata la condanna del datore al risarcimento del danno (in relazione al periodo 2001-2009)

Nella sua decisione, la Corte d’Appello ha evidenziato come dal 2009 fosse divenuto l’Inps l’istituto deputato al riconoscimento dei permessi e che Poste, in base a quanto precisato dall’Istituto con circolare 133/2000, aveva ridotto il numero dei permessi a due.

Secondo la Corte territoriale, il Tribunale, in mancanza di una norma espressa, aveva correttamente fatto ricorso al principio di non discriminazione di cui ex art. 4, d.lgs. n 61/2000.

Inoltre, per i giudici, la mancata previsione di detti permessi nell’elenco di cui alla lettera a) del comma 2 non sarebbe stata dirimente. Questo, atteso che tale norma era costituita da due parti di cui la prima enunciava il principio di equiparazione dei diritti e la seconda parte conteneva un elenco non tassativo.

In Cassazione hanno fatto ricorso sia l’Inps che Poste Italiane. Tuttavia, ambedue le domande vengono respinte.

I giudici infatti hanno dato seguito all’interpretazione enunciata nella recente sentenza n. 22925/2017.

L’art 33 della Legge 104, ricorda la Cassazione, riconosce al lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. La persona da assiste può essere un coniuge o un parente entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

La Corte passa poi a valutare la questione in esame, ovvero quella concernente lavoro part time e Legge 2014. Questi permessi mensili attribuiti al genitore possono essere riproporzionati nella misura di due, invece di tre, nell’ipotesi in cui il genitore osservi un orario di lavoro articolato su 4 giorni alla settimana con orario 8,30-14,30, c.d. part-time verticale?

Sul punto, i giudici ripercorrono quanto stabilito dall’art 4 del d.lgs. n. 61/2000 (Testo unico sul part-time).

Questo, dopo aver sancito il principio di non discriminazione, elenca alla lettera a) “i diritti” del lavoratore a tempo parziale e, alla successiva lettera b), esamina i trattamenti “economici” che possono essere riproporzionati.

Il legislatore ha distinto tra quegli istituti che hanno una connotazione patrimoniale e che si pongono in stretta corrispettività con la durata della prestazione lavorativa (per i quali è ammesso il riproporzionamento) e istituti riconducibili a un ambito di diritti a connotazione non strettamente patrimoniale, che si è inteso salvaguardare da qualsiasi riduzione connessa alla minore entità della durata della prestazione lavorativa.

Ora, dal momento che i permessi in esame non sono menzionati nella norma, spetta all’interprete il compito di ricercare l’opzione maggiormente aderente.

Come affermato dal precedente della Cassazione sopra citato, il permesso mensile retribuito di cui all’art. 33, comma 3, L. 104/1992 costituisce espressione dello Stato sociale e uno strumento di politica socio assistenziale. Questo è basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale e intergenerazionale.

Si tratta, pertanto, di una misura destinata alla tutela della salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’art. 32 Cost.. Un diritto che rientra tra quelli inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.).

Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione conclude che il diritto ad usufruire dei permessi costituisce un diritto del lavoratore non comprimibile e da riconoscersi in misura identica a quella del lavoratore a tempo pieno.

 

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