Secondo gli editorialisti della rivista è un’occasione mancata il maggior coinvolgimento di pazienti e famiglie nella segnalazione degli incidenti e nello sviluppo di linee guida e pratiche di sicurezza

La legge Gelli sulla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie suscita interesse anche a livello internazionale. La nuova legge è al centro di un recente editoriale pubblicato sul British Medical Journal, in cui si sottolinea come  nella nuova normativa vengano stabiliti tre principi fondamentali: il diritto alla sicurezza per tutti coloro che accedono al servizio sanitario; la protezione del professionista sanitario dall’azione penale  anche in caso di esito negativo del proprio operato, se vengono seguiti gli orientamenti e le pratiche sicure riconosciute dall’Istituto Superiore di sanità italiano; infine, la possibilità di  agire legalmente contro gli operatori sanitari solo nei casi di malizia o negligenza grave.
“Dopo la Danimarca nel 2004, afferma il co-autore dell’articolo Tommaso Bellandi, del Centro per la Gestione del Rischio Clinico e Sicurezza del paziente di Firenze – l’Italia è solo il secondo paese europeo ad avere una legge globale sulla sicurezza dei pazienti che riunisca i diritti dei pazienti, la trasparenza dei processi e dei risultati, un equo risarcimento in caso di danno, e la protezione dei professionisti sanitari quando rispettano le linee guida e le pratiche sicure. Altri paesi come gli Stati Uniti hanno atti separati per gli eventi avversi e la protezione delle responsabilità, mentre nella maggior parte dei paesi la sicurezza dei pazienti fa semplicemente parte di programmi o politiche nazionali”.
Nell’articolo, tuttavia,  nonostante si riconosca l’importanza di questo passo, si sottolineano alcuni aspetti poco chiari della nuova normativa. Tra questi  l’ambiguità del termine ‘negligenza grave’ come base per una possibile azione legale. O ancora il fatto che l’obbligo di seguire gli orientamenti clinici possa essere considerato come un modo indiretto di limitare la libertà clinica o la preferenza del paziente nel momento in cui si cerca di personalizzare la cura attraverso il processo decisionale condiviso.
“Una limitazione importante  è l’occasione mancata per un coinvolgimento più completo dei pazienti e delle famiglie”, evidenziano ancora gli editorialisti, facendo riferimento, ad esempio, al ruolo che questi potrebbero svolgere nella segnalazione degli incidenti e nello sviluppo di linee guida e pratiche di sicurezza. “L’Italia – concludono – è lontana da un vero approccio centrato sul paziente riguardo al consenso informato, e non si fa cenno alla possibilità di migliorare la comunicazione tra i pazienti e gli operatori sanitari, anche se i problemi di comunicazione sono una delle cause principali di contenzioso”.
Fonte:  BMJ 2017;357:j2277
 

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