Grazie a uno studio italiano sulla malattia di Huntington, potrebbero aprirsi nuove e innovative strade terapeutiche contro la patologia

Novità importanti arrivano dal mondo della ricerca medica sulla malattia di Huntington.

Una ricerca condotta dal Laboratorio di Neurogenetica e Malattie Rare dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (IS) e pubblicata sulla rivista Human Molecular Genetics ha individuato una molecola che potrebbe diventare il modello su cui basare nuovi farmaci contro la patologia.

La scoperta in sé si rivela particolarmente importante. Ciò in quanto la molecola sarebbe in grado di agire su un recettore legato al metabolismo degli sfingolipidi (quello della sfingosina-1-fosfato).

Questo porterebbe a numerosi passi avanti nella preparazione di farmaci ad hoc per la malattia. La sfingosina-1-fosfato (S1P) è infatti un lipide essenziale per la sopravvivenza delle cellule neuronali.

In passato, altri studi Studi condotti dallo stesso laboratorio avevano già dimostrato come gli sfingolipidi giocassero un ruolo centrale nella lotta alla malattia di Huntington.

Secondo Alba Di Pardo, ricercatrice del Laboratorio di Neurogenetica e Malattie Rare “con questa ricerca riteniamo di avere aggiunto un tassello molto importante. La molecola che abbiamo sperimentato, infatti, si è dimostrata in grado non solo di migliorare la sintomatologia associata alla malattia, ma anche di prolungare la vita media degli animali malati”.

E non è tutto. Perché secondo i ricercatori i benefici di questo trattamento si sono tradotti anche in una protezione generale della struttura e della funzione del cervello.

Ma come funziona esattamente questa molecola?

Ebbene, i suoi meccanismi di azione devono ancora essere studiati in dettaglio. Tuttavia, sono state individuate due strade attraverso le quali eserciterebbe la sua attività terapeutica.

In particolare, per quel che concerne i danni indotti dalla proteina mutata responsabile della malattia di Huntington (la Huntingtina).

Da un lato, agirebbe sul recettore 5 della S1P attivando una serie di processi biologici capaci di proteggere i neuroni. Dall’altro, il farmaco è capace di ripristinare il corretto funzionamento della barriera emato-encefalica.

Per Vittorio Maglione, ricercatore dello stesso laboratorio “saranno necessarie ulteriori ricerche prima di giungere a una potenziale applicazione terapeutica ma pensiamo che questo studio possa rappresentare una importante base di partenza per nuove strategie farmacologiche contro la malattia di Huntington. Molecole simili a quella utilizzata da noi sono in sperimentazione clinica per altre patologie”.

 

 

 

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