L’illecito previsto dall’articolo 572 del codice penale presuppone la sussistenza di una serie di fatti idonei a provocare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali, sebbene isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili

Minacce, violenza privata e maltrattamenti. Questi i reati in base ai quali la Corte di appello di Lecce, confermando la sentenza di primo grado, ha condannato un uomo per la condotta tenuta nei confronti della moglie. Nel ricorrere per Cassazione, l’imputato evidenziava come la decisione del giudice di secondo grado fosse da annullare in quanto questi avrebbe basato la propria decisione solamente sulle dichiarazioni della donna, che non poteva essere considerata attendibile.
Per contro il condannato aveva fornito una versione dei fatti alternativa, supportata dalle dichiarazioni rese da a alcuni testimoni nel corso del processo, nonché da una lettera che gli era stata inviata proprio dalla moglie. Dato il dubbio derivante dall’incertezza tra le due tesi proposte, il giudice, a suo dire, avrebbe dovuto quindi esprimersi a favore dell’imputato.
Il ricorrente, inoltre, riteneva che il reato di maltrattamenti ex articolo n. 572 del codice penale non fosse configurabile. Non poteva essere considerato infatti un “maltrattamento” l’aver avuto una relazione extraconiugale. A nulla valeva la circostanza, a tal proposito, che l’amante fosse stata presente nel momento in cui i Carabinieri si erano recati presso la sua abitazione, a seguito della denuncia presentata dalla moglie.
La Suprema Corte, con sentenza n. 16543/2017, ha ritenuto di accogliere solo parzialmente il ricorso presentato confermando la condanna in relazione al reato di maltrattamenti. Per gli Ermellini, infatti, tale reato presuppone la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi -i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili , come l’infedeltà o gli atti di umiliazione generica o non perseguibili , come le percosse o le minacce lievi – idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali.
Nel caso in esame la Corte d’appello aveva condannato correttamente l’imputato, in quanto la condotta di violenza e di sopraffazione che questi aveva inflitto alla moglie, – consistente nell’avere intrattenuto rapporti sessuali con l’amante all’interno della casa coniugale, imponendo alla coniuge l’accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce – aveva trovato riscontro nella relazione di servizio delle forze dell’ordine nonché nel contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l’imputato e la persona offesa.

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