Nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, il giudice della separazione deve osservare il principio di proporzionalità

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nell’ambito di un procedimento civile instaurato da un ex coniuge contro il provvedimento della Corte d’Appello di Roma che aveva posto a suo carico, obblighi economici – a sua detta – sproporzionati rispetto al reddito effettivamente percepito.

Tanto era stato previsto sia per il mantenimento diretto del figlio, nei periodi di permanenza presso di sé che per le visite parentali, nonché in relazione al contributo alla spese straordinarie.

Inoltre, secondo la ricorrente l’impugnata sentenza era contraria alle previsioni sul diritto del minore alla cd. bigenitorialità (art. 337 ter c.p.c., comma 1), in quanto il suo stato di inoccupazione ed il basso reddito percepito, pari a 400 euro mensili, le avrebbero impedito di adempiere alle obbligazioni economiche fissate e quindi, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il figlio che, a quel punto, sarebbe stato privato, di fatto, della figura materna.

 “Il motivo è fondato”, hanno affermato i giudici della Suprema Corte.

A seguito della separazione personale dei coniugi – cui è equiparabile la separazione tra persone conviventi more uxorio (art. 337 bis c.c.) – nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori oltre all’apprezzamento delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto.

In tale prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudice di merito deve effettuare “un’adeguata indagine circa le risorse patrimoniali e reddituali di ciascuno dei genitori, senza trascurare la maggiore capacità patrimoniale del padre, laddove sia comunque accertata nel caso concreto” (Cass. 01/03/2018 n. 4811).

Nel caso di specie, la sentenza di appello era incorsa nella censurata violazione dell’art. 337 ter c.c., secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, avendo mancato di eseguire un’indagine concreta sulle condizioni patrimoniali dei coniugi.

La redazione giuridica

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