Per gli Ermellini, non spetta il risarcimento per la caduta in strada se si dimostra che la rottura del manto stradale fosse superficiale e quindi facilmente evitabile.

Con la ordinanza n. 17324/2018, la Cassazione ha fornito chiarimenti in merito al risarcimento per il danno da caduta in caso di manto stradale danneggiato superficialmente.

Secondo i giudici, deve escludersi ogni responsabilità in capo al Comune laddove la caduta sul manto stradale danneggiato sia frutto di una disattenzione del pedone.

Ciò in quanto il comportamento imprudente del danneggiato è idoneo a interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso se è connotato da esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

La vicenda          

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, VI sezione civile, ha respinto la richiesta di risarcimento avanzata da una donna nei confronti di un Comune. La donna aveva chiesto un risarcimento per i danni patiti in conseguenza della caduta in una buca, non segnalata, su una strada pubblica nel territorio del Comune stesso.

Riformando la decisione di prime cure, la Corte d’Appello aveva rigettato la domanda della donna.

In particolare, i giudici a quo avevano osservato che sul luogo della caduta non vi era alcuna insidia, in quanto il manto stradale danneggiato lo era solo superficialmente. Non si trattava dunque di una buca vera e propria.

Inoltre, l’incidente era avvenuto alle ore 8 del mattino in condizioni di perfetta visibilità.

Pertanto, “la danneggiata era perfettamente consapevole, ovvero avrebbe potuto esserlo con l’ordinaria diligenza, delle condizioni difficoltose di percorrenza del tratto in oggetto”, sicché era da ritenere che l’evento dannoso fosse stato determinato in via esclusiva dalla condotta della donna.

La ricorrente, in Cassazione, ha però lamentato una violazione dell’art. 2051 c.c. e delle regole sulla responsabilità del custode.

E ciò posto che l’ente proprietario della strada avrebbe potuto liberarsi soltanto dimostrando il caso fortuito.

Per gli Ermellini, però, tale motivo risulta infondato. Tale affermazione viene suffragata dalle recenti ordinanze in materia di responsabilità civile derivante dall’obbligo di custodia (nn. 2480, 2481, 2482 e 2483 del 2018).

Questi hanno evidenziato che la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso.

Questo in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.

Ne consegue, pertanto, che più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del pedone nel dinamismo causale del danno.

E ciò fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.

Le menzionate pronunce hanno altresì chiarito che l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art. 1227 cit. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa.

Questo perché ha rilevanza esclusivamente ai fini di un’ affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità.

Essa deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta.

In conclusione, l’accertamento dello stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell’evento, costituisce quaestio facti riservata solo all’apprezzamento del giudice di merito.

I giudici a quo hanno quindi accertato che il comportamento normalmente diligente da parte dell’infortunata avrebbe evitato il fatto dannoso.

Un fatto che equivale a riconoscere che non sussisteva il nesso di causalità tra l’anomalia presente sul manto stradale e la caduta.

Non essendoci alcuna violazione di legge commessa dalla Corte di merito, in conclusione, il ricorso va rigettato.

 

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