Presentato uno studio sul fabbisogno del personale medico dal 2016 al 2030

Sono sempre di più i medici italiani che emigrano verso altri paesi europei. Tra le mete più gettonate figurano Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Regno Unito e Svizzera, oltre che gli Stati Uniti. Secondo dati Istat, i professionisti del settore sanitario che hanno chiesto al Ministero della Salute la documentazione utile per esercitare all’estero sono passati da 396 nel 2009 a 2363 nel 2014 (+ 596%). Nel 2015 per  i soli laureati in Medicina e Chirurgia,  il Ministero della Salute ha rilasciato 1112   attestati di conformità e 1724 attestati di good standing.  Nel Regno Unito, ad esempio, secondo i dati del General Medical Council,  i medici italiani che prestano servizio sono più di 3000, rappresentando l’1,1% degli iscritti nel 2014. Tra il 2014 e il 2015 sono aumentati di circa 200 unità

E’ quanto emerge da uno studio effettuato da Anaao Assomed incentrato sul fabbisogno del personale medico del Servizio sanitario nazionale dal 2016 al 2030 e orientato a capire come rimpiazzare la fuga dei camici bianchi dai nostri ospedali. Il rapporto evidenzia come per l’Italia il costo della formazione per singolo medico si aggira intorno a 150.000 euro. “In termini economici  è come se regalassimo mille Ferrari all’anno agli altri paesi europei ed extra europei. Ovviamente il danno non è solo economico. Noi perdiamo talenti, intelligenze, saperi professionali, sottratti per incuria  alla sostenibilità qualitativa del nostro SSN e più in generale allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese”.

Un fenomeno che trova origine per Anaao nella crisi economica del 2008 che si è portata dietro un importante de-finanziamento del SSN che solo recentemente sembra rallentare. “Il controllo della spesa per il personale è diventata la leva principale di intervento per raggiungere l’equilibrio economico nelle regioni in piano di rientro. L’assunzione del personale è bloccata dalla Legge 191/2009, che vieta, per questo settore, una spesa superiore a quella del 2004 ridotta dell’1.4%. Il turnover di fatto è limitato al 25-50% delle uscite. Dal 2009 al 2014 il numero dei medici dipendenti a tempo indeterminato si è ridotto di 7.000 unità. Nelle Aziende sono così dilagate le assunzioni  di specialisti convenzionati o con contratti atipici o libero professionali”.

All’orizzonte, almeno per i prossimi 10 anni, uno scenario drammatico: da un lato l’uscita dal sistema per pensionamento di circa 47.300 medici specialisti del SSN, a cui aggiungere circa 8.200 tra medici universitari e specialisti ambulatoriali, e dall’altro circa 14.300 precari tra tempi determinati e contrattisti alla ricerca di una stabilizzazione definitiva del loro rapporto di lavoro. A questi si aggiungono i circa 30.000 medici di medicina generale che raggiungeranno i criteri  di quiescenza nei prossimi 10 anni (Dati Enpam 2016). “L’impoverimento delle dotazioni organiche, in un settore dove il lavoro umano e il saper fare sono fondamentali per erogare buone cure, è un rischio non trascurabile. Lo sblocco del turnover e la stabilizzazione di tutto il precariato diventano  due necessità ineludibili per garantire le caratteristiche di equità e universalità su cui si fonda il nostro SSN nonché la qualità dei servizi”.

Per l’Associazione dei medici e dirigenti del Ssn il futuro del Sistema sanitario è determinato dal numero e dalla qualità dei nuovi specialisti, aspetti attualmente di esclusiva pertinenza dell’Università. Fino a quando la Legge non consentirà l’ingresso del medico non specialista in Ospedale, per formarlo in quella sede, come in tutto il mondo occidentale, il SSN non avrà alcuna autonomia nella definizione del proprio fabbisogno futuro. “È possibile arrivare a migliori risultati attraverso una collaborazione stretta fra l’Università e gli Ospedali, che devono essere coinvolti, in tutta la rete ospedaliera, per consentire agli specializzandi di svolgere quelle attività pratiche previste dalla normativa e che, per ovvii motivi di dotazione di posti letto e casistiche operatorie, non può essere garantita dalla sola Università. Se ogni specializzando deve acquisire conoscenze e abilità manuali di progressiva complessità, solo mettendo in rete una serie di strutture ospedaliere all’interno di un bacino d’utenza definito, è possibile garantirgli un percorso formativo adeguato, organizzando la sua presenza durante gli anni di specializzazione sia in strutture ospedaliere di tipo periferico, con casistica meno complessa, sia in ospedali di più elevato livello operativo”.

E’ da queste considerazioni che Anaao ritiene si possa partire per recuperare un ruolo formativo del sistema sanitario pubblico. “In concreto, pensiamo che aumentare il numero degli studenti iscritti al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, al di fuori da seri studi di programmazione che tengano insieme aspetti demografici, dinamiche pensionistiche, esigenze del sistema in termini di formazione, qualità e quantità del personale,  non risolva il problema della prossima carenza di medici specialisti perché i primi risultati si vedrebbero solo dopo 10-11 anni. Inoltre si rischia di ripetere, nel lungo periodo, il fenomeno della pletora medica. Noi proponiamo in base ai dati illustrati che il numero dei posti per la Scuola di Medicina e Chirurgia debba essere limitato a circa 6.500 ogni anno, mentre le borse di studio per la formazione post laurea dovrebbero  aumentare fino a circa 7.200, magari anche con finanziamenti europei considerata l’emigrazione dei nostri laureati e specialisti verso altri paesi della Comunità”.

L’imposizione del titolo di specializzazione come requisito di accesso al lavoro nel SSN rappresenta, per il Sindacato, una strozzatura. “Occorre, pertanto, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro, animati da conflittualità latenti o manifeste e contenziosi infiniti, consentendo ai giovani medici di raggiungere il massimo della tutela previdenziale ed al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche. La soluzione consiste nella trasformazione del contratto di formazione-lavoro in contratto a tempo determinato con oneri previdenziali ed accessori a carico delle Regioni e nel conseguente inserimento dei giovani medici nella rete formativa regionale. Recuperare il ruolo professionalizzante degli Ospedali rappresenta la strada maestra per garantire insieme il futuro dei giovani medici e quello dei sistemi sanitari”.

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