Ai familiari della vittima, un ventenne toscana, era già stato riconosciuto in sede civile un risarcimento di 1,2 milioni di euro

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a otto mesi di reclusione per un chirurgo in servizio nel 2009 all’Ospedale di Pontedera. I giudici di merito di Pisa avevano ritenuto il medico responsabile di omicidio colposo nell’ambito del processo per la morte di una giovane studentessa toscana che si era recata da lui, su parere di una dermatologa, per la rimozione di un neo ingrossato sanguinante sulla schiena.
Il camice bianco aveva rassicurato la paziente che si trattava di un neo benigno e innocuo, e aveva deciso di intervenire solo su insistenza della ragazza, che voleva comunque rimuoverlo per ragioni estetiche. L’asportazione, tuttavia, secondo le accuse, era avvenuta senza incisioni, senza l’effettuazione di un esame istologico e senza la prescrizione di una visita di controllo. Una negligenza che si sarebbe rivelata fatale.
Dopo alcuni mesi, infatti, la ragazza iniziò a stare male fino a che, dopo ulteriori accertamenti, le venne diagnosticata una metastasi linfonodale da melanoma. La giovane finì immediatamente sotto ai ferri per l’asportazione del tumore e dei linfonodi ascellari, ma i risultati dell’esame istologico furono impietosi, evidenziando un “melanoma primario maligno ad alto grado di aggressività già diffuso al punto tale da vanificare l’ effetto terapeutico dell’asportazione della parti malate”.
Con l’asportazione dei linfonodi, venne anche diagnosticato un tumore secondario maligno dei linfonodi ascellari conseguente al melanoma e, nonostante il trattamento chemioterapico immediatamente intrapreso, nell’aprile del 2011 l’allora ventenne morì.
Secondo quanto riporta la Cassazione, “il melanoma, per la gravità e per le altre caratteristiche presentate, poteva essere insorto fino ad un anno prima dall’intervento” e quindi in epoca compatibile con la trasformazione del neo per la quale la giovane si era rivolta alla dermatologa e, a seguito delle sue prescrizioni, al medico imputato.
Prima ancora della definitiva condanna in sede penale da parte della Suprema Corte, in sede civile la vicenda si era chiusa con il riconoscimento in favore dei familiari della vittima, in base alle tabelle per la liquidazione del danno, di una risarcimento pari a circa 1,2 milioni di euro. Una somma il cui versamento è in parte a carico dell’assicurazione dell’Ospedale e, in misura maggiore, a quella del professionista.
 
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