L’infermiera arrestata a Verona va davanti al GIP per il caso della presunta sommininstrazione di morfina ad un neonato
La storia del neonato in crisi respiratoria perché in overdose di morfina ha suscitato incredulità e rabbia. L’idea stessa di somministrare morfina ad un neonato è difficile da accettare. Diventa impossibile concepirlo se il suo ricorso, come si ipotizza, era dovuto esclusivamente al tentativo di non farlo piangere.
La vicenda che ha investito l’unità neonantale dell’azienda ospedaliera di Verona ha lasciato tutti sbigottiti. “Era considerata una delle più brave” ha dichiarato Paolo Biban, primario di pediatria clinica al Corriere.it. Era il suo diretto responsabile. Ed in effetti l’infermeria, vanta un curriculum di tutto rispetto: venti anni di esperienza nel settore. Qualcuno ipotizza un possibile born out della donna, in un settore dove il livello di stress è comprensibilmente elevato. Ma anche in quel caso, l’idea di far assumere morfina ad un neonato non sarebbe giustificabile.
Si tratta ora di verificare i fatti, ascoltando innanzitutto la diretta interessata, raggiunta dal giudice per le indagini preliminari Livia Magri nel carcere di Montorio.
La vita del neonato, finito in sala rianimazione perché faticava a riprendere fiato, è stata salvata dalla somministrazione di un farmaco inibitore degli oppiacei. Sarebbe stata la stessa infermiera a suggerirne utilizzo e dosaggio. Questo è uno degli elementi da chiarire.
“Ho pensato a quel farmaco perché ho subito riconosciuto i sintomi – si legge nell’articolo del Corriere.it – Faccio da vent’anni questo lavoro, ho una grande esperienza. E tutti i miei colleghi hanno rimarcato la mia affidabilità dal punto di vista professionale” . Resta da chiarire, innanzitutto, la decisione di somministrare morfina ad un neonato da chi sia stata assunta. E se sia la prima volta che accade o se, invece, si è ricorso a questa pratica anche in altre occasioni. Tanti punti oscuri su cui ora, la magistratura, proverà a fare luce.
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