Due anni ciascuno per due ginecologi e un’anestesista. Disposte provvisionali immediatamente esecutive per i parenti della vittima

Condanna a due anni di reclusione con sospensione della pena. Questa la sentenza emessa dal Tribunale di Enna nei confronti di due ginecologi e un anestesista a conclusione del processo di primo grado per la morte di una 34enne al nono mese di gravidanza, deceduta nel 2011 presso l’Ospedale di Leonforte.
La donna, già madre di due figli nati con parto cesareo, si era recata per un controllo presso il nosocomio Ferro – Branciforti – Capra, dove era in servizio il ginecologo che stava seguendo la sua gravidanza. Il tracciato effettuato evidenziò una sofferenza fetale che spinse il medico a predisporre con urgenza un taglio cesareo. L’intervento, tuttavia, provocò una grave emorragia. Il bimbo nacque sano e sopravvisse ma la mamma dovette subire un’isterectomia, e, nonostante il trasferimento in Rianimazione presso un Ospedale di Palermo, morì dopo poche ore.
Il decesso portò all’apertura di un fascicolo per omicidio colposo, con l’iscrizione nel registro degli indagati e il successivo rinvio a giudizio di sei medici. Tre di loro hanno optato per il rito abbreviato; lo scorso gennaio la Corte d’appello ha condannato a un anno e 4 mesi un anestesista assolvendo, invece, per non aver commesso il fatto, un chirurgo e un ginecologo. Gli altri tre operatori sanitari sono stati sottoposti a rito ordinario.
Le indagini che hanno portato alla sentenza di condanna hanno evidenziato una serie di responsabilità in capo agli imputati che saranno esplicitate nelle motivazioni della sentenza, attesa entro novanta giorni. Dalle udienze sarebbe emersa la negligenza e la superficialità dei sanitari nella gestione di una situazione che, per carenze strutturali dell’Ospedale (privo della rianimazione, dell’emoteca, del centro emotrasfusionale e della neonatologia),  andava affrontata altrove. Dai tabulati telefonici non risulterebbe alcuna telefonata al 118 con richiesta di elisoccorso.
Le perizie medico legali, inoltre, hanno evidenziato che la donna sarebbe morta a causa di coagulazione intravascolare disseminata, ovvero un’emorragia dovuta a placenta accreta non tempestivamente rimossa con isteroscopia. La placenta accreta, secondo il Ctu, non sarebbe letale e peraltro sarebbe stata diagnosticabile e intuibile da fatti conclamati nel caso in questione: l’età, i cesarei pregressi, la placenta previa e le minacce d’aborto nel primo trimestre di gravidanza.
Il Giudice, che ha optato per una pena più lieve rispetto ai 3 anni chiesti dal Pubblico ministero, ha inoltre disposto a favore dei parenti una provvisionale immediatamente esecutiva. Nello specifico la somma ammonta a 60mila euro ciascuno per il marito e i tre figli della donna, 60mila euro alla madre della donna e 15mila euro ciascuno ai fratelli e cognati.
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